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DALLA NUOVA DIMORA,
in pellegrinaggio per la città

Tornano per dissetarsi e nutrirsi, per allontanare le malvagità o per giocare a carte. Per assistere alla messa o recitare il rosario lungo le vie del paese. Tante sono le credenze legate al ritorno dei defunti, nelle diverse zone d'Italia. Tutte, comunque, hanno un'ispirazione di fondo: quella di sentire sempre vicino il mondo dei morti. Ripopolano le vie del paese, fanno visita ai vivi, si presentano in casa durante la notte. Tante sono le credenze legate al ritorno dei defunti nel mondo terreno. Nelle più diverse culture, spesso, i morti si riaffacciano alla realtà quotidiana per nutrirsi o per assistere alla messa, per dissetarsi o per andare in pellegrinaggio. Si tratta di credenze dovute, innanzitutto, all'idea che la vita e la morte siano comunque, sempre, inevitabilmente legate. Ma non solo: rappresentano anche il modo, per i vivi, per continuare a mantenere forti legami con i propri defunti. E per sentirli più vicini.

Di notte, per assistere alla messa. Una leggenda particolarmente diffusa narra che, durante le ore notturne, i morti si radunano in chiesa per sentire la loro messa, la cosiddetta "messa dei morti". E se qualcuno entra in chiesa mentre si celebra questa funzione, corre il pericolo del contagio di morte. In Abruzzo, si ricorda questo dettagliato racconto, segnalato soprattutto nelle zone rurali attorno a Pescara: una fornaia, alzatasi di buon'ora, andava ad accendere il forno. Nel passare davanti ad una chiesa, che vide illuminata, pensò che si stesse celebrando la messa e vi entrò. La chiesa era illuminata e piena di gente. Inginocchiatasi, una sua comare, già morta, le si avvicinò dicendo: "Comare, qui non stai bene, va' via. Siamo tutti morti e questa è la messa che si dice per noi. Spenti i lumi, moriresti dalla paura a trovarti in mezzo a tanti morti". La comare ringraziò e andò via subito, ma per lo spavento perse la voce.

In Sicilia si crede che a celebrare la messa dei morti siano condannate le anime dei preti che ingannarono i fedeli, non celebrando, per avidità di guadagno, le messe per cui avevano ricevuto le elemosine. Queste anime, dunque, devono celebrare anno per anno una messa fino a quando non avranno soddisfatto il loro obbligo. Le messe sono invece ascoltate da quei morti che, per pigrizia o negligenza, non parteciparono alle messe in vita: i siciliani le chiamano appunto "misse scurdate". Mentre a Catania si racconta di morti che passeggiano in processione per le strade recitando il rosario, a Salemi, in provincia di Trapani, si dice che la messa dei morti sia celebrata tra le ore di mezzogiorno ed il vespro: quando suonano le campane, chi, tratto in inganno, entra in chiesa e vede il volto cadaverico di un prete, deve fuggire immediatamente facendosi il segno della croce. Altrimenti non sopravvivrà.

In Friuli, invece, si ritiene che i morti vadano in pellegrinaggio nei santuari e nelle chiese lontane dai centri abitati, sempre di notte: i racconti parlano di defunti che escono dai cimiteri vestiti di bianco e con scarpe di seta, avvolti nel lenzuolo funebre. Chi dovesse entrare durante una di queste visite, morirebbe al canto del gallo.

Di nuovo in casa, per sfamarsi. In molte località è segnalato il tema del ritorno dei morti nei giorni successivi al decesso: una idea forte soprattutto nell'Italia meridionale. In Molise, nel comune di Venosa, in provincia di Potenza, ad esempio, dopo che il cadavere è stato portato al cimitero, i parenti abbandonano la casa per un giorno ed una notte per permettere al morto di tornare a rifocillarsi. A Modica, in Sicilia, si crede che per i tre giorni successivi alla sepoltura il morto rientri a casa per sfamarsi con pane e per dissetarsi con acqua: per questo i parenti gli lasciano, di notte, la porta d'ingresso socchiusa e puntellata con una sedia, sulla quale viene posato pane fresco in abbondanza. In diversi comuni intorno all'Etna, poi, si riferisce che i defunti, dopo aver girovagato per i sentieri più spopolati, diventano formiche per poter entrare, attraverso le fessure, nelle case dei loro congiunti a nutrirsi.

In diversi paesi dell'Aspromonte, in Calabria, in autunno i morti tornano addirittura per un mese intero. Così, le famiglie mettono ogni sera sul tavolo un piatto ricolmo di cibo, la bottiglia del vino, una brocca d'acqua. In qualche paese si lascia addirittura un mazzo di carte da gioco, affinché i defunti possano ancora assaporare i passatempi della vita.

In Sardegna, in alcuni centri vicino a Sassari, i morti fanno ritorno nelle case soprattutto nella notte del primo agosto: i familiari, lasciando apparecchiata la tavola per il pasto notturno dei loro defunti, devono però evitare di mettere le posate, soprattutto forchette e coltelli, perché potrebbero diventare un'arma molto pericolosa nelle mani dei morti.

Più diffusa in tutta Italia è invece la credenza che i morti tornino nella notte tra il primo ed il due novembre. In alcune aree del Veneto si tramanda che, più che per mangiare e bere, i morti tornino per riposare: nelle campagne intorno a Vicenza, la mattina del due novembre le donne si alzano più presto del solito e si allontanano dalla casa dopo aver rifatto i letti per bene, perché le povere anime del purgatorio possano trovarvi riposo per l'intera giornata. In Piemonte, nelle zone della val d'Ossola, il due novembre, dopo il vespro, le famiglie si recano al gran completo in visita al cimitero, abbandonando discretamente le case, perché le anime dei trapassati possano rifocillarsi a loro agio: durante questo banchetto, i morti parlano fra loro, predicendo l'avvenire dei propri congiunti. La sera di Ognissanti, ossia alla vigilia del giorno dei morti, sempre in Piemonte, è vivo il costume di radunarsi a recitare il rosario tra parenti e a cenare con le castagne. Finita la cena, la tavola non viene sparecchiata: rimane imbandita col resto avanzato. Verranno i trapassati a cibarsene.

Legumi, in memoria dei defunti. Nelle tradizioni popolari, sono spesso i poveri a portare nutrimento e messaggi ai defunti, perché considerati immuni dal contagio della morte. Una usanza segnalata soprattutto in Calabria: le famiglie di Cosenza mandano ai loro morti il cibo preferito attraverso i disperati: lo preparano al mattino presto, per offrirlo al primo povero che passa davanti alla loro casa. Questi lo consegnerà al defunto che, nel frattempo, si è messo in cammino per raggiungerlo. Ad Umbriatico, in provincia di Catanzaro, per la commemorazione dei defunti si preparano per i poveri speciali focacce di pane lievitato e cotto al forno, le "pitte collure", mentre a Paola, il due novembre, si distribuiscono ai poveri fichi secchi. Gli stessi nutriranno anche i morti, usciti dal cimitero nel giorno della loro celebrazione per cibarsene.

In occasione della festa dei morti, in Veneto, si distribuiscono le fave, mentre in Piemonte, si offrono ai poveri o gli avanzi della cena o una scodella di legumi fatti cuocere in memoria dei trapassati. In Abruzzo, dove tra i pescatori, la notte tra l'uno e il due novembre non si può andare a pesca, perché le reti pescherebbero, al posto dei pesci, solo teschi di morti, viene di solito offerto il due novembre ai poveri del paese un piatto a base di ceci: nello stesso momento, i defunti si aggirano per le strade in cui sono vissuti, allontanando le malvagità: una credenza che si ritrova soprattutto nelle campagne intorno a Chieti.

Le strenne dei morti. La commemorazione dei defunti ha anche un proprio cibo, un dolce fatto di marzapane, detto di solito "ossa dei morti" per la sua forma. Tipicamente siciliano è diffuso però anche in Calabria, nel padovano e nel cremonese. È il dolce che a Palermo i bambini buoni trovano la mattina del due novembre insieme ad altri regali. Mentre ai cattivi saranno riservati aglio, carbone e scarpe rotte. La leggenda racconta infatti che, nella notte tra il primo e il due novembre, i morti lasciano la loro dimora per scendere in città a rubare ai più ricchi pasticceri, ai mercanti, ai sarti, dolci, giocattoli, vestiti e tutto quanto hanno intenzione di donare ai loro parenti fanciulli che sono stati buoni nell'anno e li hanno pregati. Una tradizione che si è coltivata nel tempo per indurre la familiarità con la morte e con il mondo degli antenati.
 
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