- n. 9 - Ottobre 2002
- Costumi e curiosità
NIENTE NODI PER LIBERARE L'ANIMA
Spetta di solito ai familiari il compito di preparare il cadavere per l'esposizione, la veglia, le visite di parenti ed amici. Tanti i comportamenti legati a questa particolare fase del lutto, volti ad attenuare dal viso e dal corpo dell'estinto i segni più forti della morte. Ma non solo: alla scrupolosa cura del morto sono legati diversi significati. Come il facilitargli il cammino nell'aldilà o evitargli di prendere freddo nelle processioni celesti.Come se fosse ancora vivo, con i suoi precisi tratti umani. Presso le più diverse popolazioni, culture, epoche storiche, la preparazione del cadavere per l'esposizione e la veglia è stata sempre considerata un momento essenziale del distacco. Un compito che, di solito, tocca ai familiari ed è legato alla volontà di smorzare l'impressione della morte dal viso e dal corpo del defunto, per presentarlo nella forma più accettabile possibile.
I comportamenti intorno al cadavere, se da un lato sono mirati a riproporre a quanti gli faranno visita il suo aspetto più "umano", hanno comunque anche un altro significato: quello di rendergli più agevole il viaggio nell'aldilà, nella nuova dimora.
CHIUDERE GLI OCCHI, PER EVITARE L'IRREQUIETEZZA. Presente sin dall'antichità, l'usanza di chiudere gli occhi del cadavere rappresenta un gesto di pietà dei parenti verso il morto. Una tradizione che, molto probabilmente, nasce dal disagio di trovarsi alla presenza di occhi ancora aperti, ma che, col tempo, assume un più profondo significato: ad occhi sbarrati, l'anima si caricherebbe di irrequietezza e non raggiungerebbe il riposo.
Nella Grecia antica si ritiene che, chiudendo gli occhi, si liberi l'anima che ha sede nella pupilla. Presso gli antichi Romani è la donna, posta dietro il defunto disteso sul letto, a porre le mani sui suoi occhi. Spetta invece ai bambini chiudere gli occhi ai genitori, mentre lo storico latino Valerio Massimo, all'inizio del I secolo a.C., attribuisce alle figlie il dovere supremo della chiusura degli occhi. Quando però si pone il cadavere sulla pira, gli occhi vanno riaperti, perché il defunto deve vedere il cielo.Un uso singolare, che riguarda però solo i morti anziani, arriva dalla Scandinavia ed è di qualche secolo fa: il volto del cadavere viene coperto con un panno e le sue palpebre sono chiuse senza guardarlo. Diversamente, ben presto morirebbe un parente.
Anche la chiusura della bocca è legata, innanzitutto, all'idea di evitare la vista un po' imbarazzante di un cadavere mal composto. Ma ha pure un altro significato: se la bocca rimane aperta, l'anima può fuggire.
In Sardegna, in alcune comunità in provincia di Nuoro, ad esempio, si registra, ancora verso la fine del 1800, un particolare comportamento: la più stretta parente del morto, dopo aver acceso una candela benedetta, gli fa con questa il segno della croce e gli chiude le labbra. Questo perché si ritiene che, uscita l'anima, scappino dalla bocca dell'estinto i segreti di famiglia e vadano proprio a cacciarsi negli orecchi dei presenti ignari.
MANI INCROCIATE PER RASSEGNAZIONE. Una posizione fondamentale è quella che si fa assumere ai morti di fede cattolica, a cui si incrociano le mani: un uso antico, con cui si vuole indicare molto probabilmente la rassegnazione e l'accettazione pacifica della propria fine. Nell'epoca di Gregorio Magno, nella seconda metà del 500 d.C., si pone tra le mani la croce di assoluzione, salvo nel caso dei suicidi.
In Francia, verso il mille, si inizia a porre tra le dita candele benedette, sistemate a forma di croce. Nel Medioevo, in molte realtà cristiane, in Italia ed in Europa, già agli agonizzanti si incrociano le mani, mentre secondo il celebre canonista medievale Guglielmo Durando, il defunto deve essere sdraiato sul dorso perché il suo viso possa guardare per sempre verso il cielo.
La tradizione del lavaggio del corpo è invece collegata al mondo dei monaci. Una usanza molto diffusa nel 1700 e segnalata soprattutto in Francia: nei monasteri e nelle chiese, al centro delle cappelle, si trovano spesso grandi vasche con cuscino di pietra e scarico all'estremità, in cui vengono sistemati, per la purificazione nell'acqua, i corpi dei monaci deceduti. Il rito è conosciuto anche presso i laici, ma non è praticato con la stessa frequenza: in Bretagna, tra il 1600 e il 1700, i parenti più prossimi e i figli sposati portano al fiume il cadavere dei loro padri o parenti, coperti con una sola camicia, per bagnarli e lavarli prima di seppellirli.
TAGLIARE LE CUCITURE, PER RIMUOVERE GLI OSTACOLI. Lasciare sul morto nodi e cuciture è di frequente ritenuto un ostacolo al suo cammino verso l'aldilà.
In Svizzera, in alcune zone vicine a Berna, è stata registrata la credenza che, se nel ricucire un cadavere nel sudario si fa un nodo nella cucitura, l'anima sarà impedita a passare nell'altro mondo. In Scozia, ancora nel 1800, nel porre il morto nella bara, si fa attenzione a recidere tutti i nodi eventualmente presenti su di lui. Altrimenti lo spirito non potrà riposare.
Dalla Germania arriva invece questa segnalazione: in Renania, il guanciale deposto nella bara deve essere esente da ogni nodo per evitare che la vedova non trovi più un altro marito. In alcune zone della Sassonia, se la donna è intenzionata a nuove nozze, deve sciogliere tutti i nodi al cadavere nella bara.
Un comportamento singolare è stato individuato anche in Friuli: prima di vestire il defunto, i superstiti cuciono le punte delle calze, in modo che i piedi rimangano uniti fino a quando la cassa rimarrà scoperta. Le cuciture vengono poi tagliate prima di inchiodare il coperchio, perché il defunto possa camminare agevolmente verso l'aldilà. In alcune zone della Basilicata, i parenti devono cucire le vesti del morto nella parte posteriore: questo perché non soffra il freddo quando partecipa alla processione dei morti il 2 novembre.
LA CURA DI UNGHIE E CAPELLI. Nella preparazione del cadavere, grande attenzione è riservata spesso ad unghie e capelli. Le credenze più diffuse sono collegate all'idea che, se rimangono sparsi e fuori dalla bara, il defunto sarà inquieto nell'aldilà: anzi, la sua anima sarebbe costretta ad errare fino ad averli raccolti tutti e riuniti.
Non solo: in alcune comunità si ritiene che, se qualcuno si impossessa di unghie e capelli del morto, può fare delle stregonerie e quindi influire negativamente sui familiari o sullo stesso defunto.
In Sardegna, in alcune zone della Campania e della Sicilia, quando una persona muore, i suoi capelli vanno subito pettinati: quelli che cadono si devono raccogliere e bruciare. Infatti, se un nemico o il demonio se ne impossessano sono guai: il primo li può utilizzare per compiere qualche malvagità, l'altro per trasportare l'anima del defunto all'inferno. Allo stesso modo, si devono bruciare le unghie tagliate e gli indumenti dismessi.
Sempre per evitare malefici, in Molise tutti i capelli caduti del defunto si mettono nella bara.
In Calabria, è invece il pettine usato per il cadavere ad essere bruciato o riposto nella bara. Riguarda le donne un costume tipico della Sardegna: alle madri appena morte si tagliano le unghie e la metà dei capelli perché, altrimenti, porterebbero via la fortuna di casa.
Dall'Abruzzo, arriva una credenza un po' diversa. Qui, fino a quando c'è in casa il defunto, è vietato pettinarsi di notte: i capelli cadrebbero su tutti i morti di famiglia, entrati in casa per accogliere l'ultimo arrivato nel loro nuovo mondo.
Gianna Boetti