- n. 11 - Novembre/Dicembre 2013
- Fiere
Ad Austin e a Mosca nel mese di ottobre 2013
NFDA & Necropolis 1/2
La stagione delle fiere si conclude. Archiviata una esposizione funeraria alternativa italiana che, ironia della sorte, ha segnato il decesso di un centro fieristico simbolo degli sprechi a carico del contribuente, abbiamo proseguito la campagna passando da Austin, San Paolo del Brasile e Mosca prima di terminare, fra qualche giorno, con Parigi per il Funéraire 2013.
Merita spendere una parola a proposito dell’infausta, soprattutto per chi si troverà senza lavoro, fine della Fiera di Brescia. Solo i ciechi e gli incapaci di intendere e di volere potevano pensare che le cose potessero andare diversamente da come in realtà sono andate. È da tempo che andiamo dicendo che vendere gli spazi ad un prezzo irrisorio e manifestamente antieconomico (scontato, in più, per i “locali” e magari - non si sa mai in un Paese dove tutto, soprattutto il peggio, è possibile - regalato ad alcuni), offrire da mangiare e bere a espositori, visitatori e a chiunque passi, lanciare inviti all’estero con viaggio aereo ed albergo pagato (prima edizione), non far pagare l’ingresso ai visitatori e via di seguito non è politica sostenibile per un’azienda sana. Già tre anni fa un altissimo responsabile della regione Lombardia ci aveva lasciato intravedere un simile epilogo. Spiace osservare che proprio coloro che dovrebbero, come imprenditori privati, essere all’avanguardia nel combattere gli sprechi del settore pubblico, dimentichino con facilità le regole basilari di una sana gestione aziendale (non spendere più di quanto entri) allorché si tratta di approfittare di un prezzo derisorio al metro quadro. Dimenticando tutti i bei discorsi su quel malgoverno al quale essi stessi hanno, da corresponsabili con il loro agire, contribuito. E dimenticando soprattutto che tali sprechi li pagano in primis loro stessi con quelle tasse di cui quotidianamente si lamentano. Sarebbe il male minore che chi ha contribuito alle spese paghi. Il fatto è che le tasse le pagano tutti e non solo i cattivi amministratori o chi, credendo a Babbo Natale, li incoraggia e li segue. Che l’Italia sia il Paese del predicare bene e del razzolare male lo sappiamo da un pezzo. Non c’era qualcuno che dopo avere categoricamente affermato la verità che una fiera ogni due anni era una frequenza troppo elevata si era affrettato, qualche giorno dopo, ad entrare in un comitato volto a crearne un’altra (ma nelle cui riunioni l’occupazione principale, relata refero, era quella di sparlare degli assenti) per averne tre ogni quattro anni? Bel progresso, non c’è che dire! Ricordiamo bene costoro che qualche anno fa a Budapest non finivano di lamentarsi per la scadenza biennale di Tanexpo. Va bene, come diceva Napoleone, che la coerenza è la qualità degli imbecilli, ma di là a credere che tutti, ma proprio tutti, lo siano ce ne corre ... E se pure così fosse non si può escludere che anche i cretini sappiano che due e due fan quattro. Dopo questo de profundis, di cui avremmo volentieri voluto fare a meno, passiamo alle fiere estere.
Sul Brasile e su Tanexpo World Brasil, che è stato un successo, altri riferiranno. Parigi deve ancora arrivare. Rimangono la NFDA ad Austin e Necropolis a Mosca.
La capitale del Texas (non sempre negli USA le capitali coincidono con la città più popolosa od importante dello stato; vedi lo stato di New York la cui capitale, la sonnacchiosa Albany, non arriva ai 100.000 abitanti) conserva, anche nella lingua ed in cucina (tacos, burritos, nachos e tamales in quantità), le tracce della sua lunga appartenenza al Messico. Il peperoncino la fa da re tant’è che esiste nella sesta strada, l’arteria principale e più animata della città, un meraviglioso negozio consacrato a chillies e salse piccanti, Tears of Joy (Lacrime di Gioia). Tutto un programma per gli adepti della pungente solanacea, amatori di sensazioni forti. La città si autodefinisce la “capitale mondiale della live music”. Non sappiamo cosa ne pensino a Nashville, regno della musica country, dove si terrà la NFDA del 2014. È vero che all’imbrunire i pub ed i saloon si riempiono di giovani che, tra una pinta di birra e l’altra, si scatenano in indiavolate danze al suono di complessini più o meno validi. Ricordiamo che la città conta più di 100.000 studenti su 800.000 abitanti. Oltre agli studi ed alla danza la loro attività principale consiste nel tifare per i Longhorns, la squadra di football americano della University of Texas, che prende il nome dai famosi buoi dalle lunghe corna i cui esemplari più maestosi si possono ammirare nello stockyard (mercato del bestiame) di Forth Worth, la città gemella di Dallas. Il Texas, con una superficie doppia di quella italiana (secondo in estensione dopo l’Alaska) e la cui popolazione di 26 milioni è superata solo dalla California con 38, è diventato il nuovo eldorado grazie all’oil, il petrolio. Anche qui, come dappertutto negli USA il “gas”, la benzina, costa 0,62 euro al litro. Non siamo ancora a livello degli Emirati (36 centesimi/litro), ma a milioni di anni luce (e di euro) da noi. Eppure le “Sette Sorelle” non è che facciano beneficenza. Dove sta l’errore? Nella rapacità di uno stato che becca quattrini al cittadino per sprecarli altrove e che non è nemmeno capace di mettere in atto, per calmare le tensioni, una commissione del tipo di quella esistente nella vicina repubblica di Slovenia diretta dalla giovane ed avvenente economista Alenka Bratusek. Essa si riunisce ogni due settimane per modulare il prezzo dei carburanti sulla base del corso del barile e del cambio Euro/USD. Più semplice di così…