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Il Cimitero delle 366 fosse

Tra i segreti di Napoli si nasconde un piccolo cimitero che testimonia uno dei periodi più tragici della storia della città.


Napoli è la città del teatro, delle viuzze strette del centro che ricordano l’Andalusia; è la città delle chiese barocche, dei colori e dei molteplici costumi folkloristici che si innestano nelle tradizioni religiose più radicate. Napoli è una città unica, solare e generosa, a volte forse un po’ caotica, ma comunque caratterizzata da una bellezza e da una atmosfera senza eguali.
Nella seconda metà del settecento Napoli ha vissuto il culmine del suo splendore in un periodo di grande trasformazione architettonica, urbanistica e sociale grazie ai Borbone che subirono una tale fascinazione da questa città, tanto da volerla come capitale. Risalgono a questa epoca importanti opere come la reggia di Capodimonte, la Biblioteca Nazionale, il teatro San Carlo e molte altre, che dovevano sopperire alle esigenze di una città che si stava espandendo repentinamente per raggiungere l’immagine perfetta di una capitale.

Il cambiamento però non era solo contraddistinto da un fiorire di palazzi ed altri pregevoli interventi urbanistici: la popolazione stava crescendo vertiginosamente e c’era il bisogno fisico di creare nuovi spazi di vita e … di morte. Videro così la luce in questo periodo storico due importanti interventi architettonici assolutamente  legati tra loro: il Real Albergo dei Poveri del 1751 ed il Cimitero delle 366 fosse del 1762.

Il Real Albergo dei Poveri

Il Real Albergo dei Poveri era l’immagine della Napoli aperta e generosa ed aveva lo scopo di fronteggiare l’esigenza abitativa dei meno abbienti. Si trattava di un edificio imponente, con una facciata di 350 metri ed oltre quattrocento stanze disposte su quattro livelli. Poteva ospitare circa 8.000 tra mendicanti e vagabondi, gli stessi che ogni giorno si aggiravano e riempivano le strade cittadine. Re Carlo III di Borbone, che amava circondarsi di intellettuali, artisti e uomini politici di spessore, aveva a cuore anche tutti gli abitanti della città che tanto amava e l’Albergo dei Poveri rappresenta il sentimento di pietà dei Borbone verso il proprio popolo.

Ferdinando Fuga è il geniale architetto che con questo progetto ha realizzato una delle più grandi costruzioni settecentesche di tutta Europa, anche se l’opera non è mai stata completata, poiché sono stati portati a termine solo tre dei cinque cortili previsti. L’idea progettuale puntava a dar vita ad uno spazio diversamente articolato in cui la fascia più povera della popolazione potesse trovare conforto, cure assistenziali ma soprattutto la speranza di poter essere formata e reinserita nel sistema lavorativo della società.

La nobile intenzione di riscatto sociale fu destinata a cessare miseramente nel 1764 a causa di una delle peggiori carestie mai vissute dalla città, sfociata successivamente, tra aprile ed ottobre dello stesso anno, in una epidemia devastante: il morbo delle febbri putride. Migliaia di uomini, donne e bambini sono stati gli attori principali di una tragedia annunciata in cui la lucida follia dei sopravvissuti aveva individuato nei poveri e nei contadini i responsabili di tale devastazione. La città era allo sbando, sconvolta dalla paura e il Real Albergo dei poveri, da luogo di speranza e pietà era diventato lo spazio angusto in cui stipare i più sofferenti, i cui corpi senza vita si racconta venissero sepolti per sbaglio insieme ai vivi gravemente malati in un clima surreale di tragedia collettiva. Sullo sfondo di una situazione ingestibile, l’esigenza di sepoltura delle salme aveva assunto un’importanza primaria di carattere igienico sanitario.

Il Cimitero delle 366 fosse

Di norma, i corpi dei defunti venivano seppelliti sotto le chiese, in uno spazio degno e sacro, che però in quel momento non riusciva ad essere né sufficiente per inumare le centinaia di salme né sufficientemente igienico per arrestare l’epidemia che si trasmetteva soprattutto tramite i cadaveri infetti. Il Cimitero delle 366 fosse, progettato dallo stesso Fuga, era la soluzione perfetta per provvedere ad un’inumazione pulita, degna e soprattutto senza rischi di contagio.

Questo camposanto non è molto conosciuto dai napoletani di oggi, nonostante abbia avuto una valenza importantissima per i cittadini dell’epoca. Realizzato su un quadrato di terra che aveva ospitato i corpi degli appestati del 1656, il cimitero è stato un esperimento, unico nel suo genere, pensato per contenere 366 fosse, "una per giorno seguendo un calendario perpetuo della morte". Le salme dei defunti che dovevano essere accolte erano quelle degli ultimi della società, dei poveri e dei carcerati.

Il cimitero realizzato fuori le mura della città anticipa di molto l’editto Napoleonico di Saint Cloud del 1804 ed è l’ultimo anello che collega le tre fasi dell’assistenzialismo dei Borbone: ricovero dei poveri nella nuova capitale in espansione, cura dei malati e luogo di accoglienza delle salme per il riposo eterno.

Da un punto di vista architettonico il Cimitero delle 366 Fosse appare come un recinto sacro dalla superficie lastricata di pietra lavica in cui spiccano 366 botole di 80 cm per lato con sopra inciso un numero corrispondente al giorno dell’anno. Ogni fossa garantiva la possibilità di seppellire le salme ad oltre otto metri di profondità ed ogni giorno ne veniva aperta una nuova, in modo tale che ogni botola venisse riaperta solamente dopo un anno dal suo primo utilizzo, quando i corpi in essa contenuti non recavano più alcun rischio di contagio. Ancora oggi abbandonato ed arrugginito, nel giardino del cimitero c’è l’argano che consentiva alle salme di essere adagiate a terra con cura.

Il Cimitero delle 366 fosse è attualmente un luogo dimenticato, in pessimo stato di manutenzione; un vero peccato soprattutto se si considera che accoglie i resti degli avi di un gran numero di napoletani scomparsi in circostanze così funeste. Sarebbe pertanto importante ridare dignità a questo luogo della memoria così peculiare dal punto di vista architettonico, emotivo e storico per non scordare coloro che hanno vissuto una devastante tragedia che resterà per sempre una ferita indelebile nella storia di questa grande città.
 
Miranda Nera


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