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All that jazz

La morte in veste musicale

Un musical d’epoca. Joe Gideon è il migliore regista e coreografo di Brodway, un assoluto genio nel suo campo. Sta lavorando contemporaneamente al montaggio di un film e all’allestimento di un musical. Ma, come ogni genio che si rispetti, di entrambi non è pienamente soddisfatto: cambia le battute, modifica i passi di danza, manda in confusione i finanziatori e soprattutto se stesso. Senza considerare la sua vita privata. Gideon trascura la figlia avuta dall’ex moglie ed è particolarmente incline all’adulterio. Fra le labbra una immancabile sigaretta fumante, prende sonniferi per dormire e abusa di anfetamine per recuperare le forze. Totalmente stressato, al culmine della sua esplosione creativa, si troverà a fare i conti con un bellissimo angelo della morte che verrà a trovarlo per condurlo alla realizzazione del suo lavoro più intenso e, soprattutto, definitivo.
All that jazz è un musical fortemente autobiografico, scritto e diretto da Bob Fosse che ne ha curato anche le coreografie. Il personaggio di Joe Gideon assume i caratteri di un vero e proprio alter-ego dell’autore americano, raccontandoci la sua vita e il suo modo di condurla. Una vita in cui tutto diviene danza e spettacolo e dove la soglia fra ribalta e retroscena è completamente cancellata dallo svolgersi degli eventi. Momenti frenetici alternati a scene di calma totale, di luce soffusa, di dialogo del protagonista con la morte. Una morte del tutto particolare: vestita di bianco, ha le sembianze di una bellissima donna. Quasi a voler rassicurare Gideon che quello non è la fine di tutto, ma l’inizio di qualcosa di migliore. Che la morte è scesa su di lui non come una condanna. Come un angelo, che lo allontana da una vita dissoluta, lo conforta, lo stimola a raccontare tutta la verità. E con lei il protagonista si confida: parla dei suoi sentimenti, delle sue emozioni, della sua paura di compiere il grande passo.
Eppure, anche con l’angelo della morte Gideon crea un rapporto ambivalente: incline all’adulterio in vita, giocherà con la donna, seducendola ed ammaliandola. La morte non si tirerà indietro. Lo asseconda, instaura con lui un rapporto di fiducia e di complicità terribile e letale. Perché non si sfugge alla morte. E nonostante le sembianze dolci e luminose, anch’ella rivelerà la sua vera natura: porterà Gideon con sé, lontano da questa vita. A conferire maggiore senso di precarietà l’atmosfera allucinata che domina i dialoghi e che ben esprime il disagio di una esistenza condotta sul filo, priva di valori, eccessiva e viziosa, com’è quella che l’ambiente dello spettacolo richiede. Particolare la rappresentazione della fine del protagonista: un trascinante ritmo di musica che culmina nell’immagine conclusiva della morte. Anche nella sua ultima ora, il genio Gideon è circondato dallo scintillio del mondo dello spettacolo.
La pellicola si muove tra il musical e il film drammatico, riuscendo a connettere elementi autobiografici a meccanismi del difficile universo dell’intrattenimento. Fatica, sudore, caparbietà, sono elementi indispensabili per questo mestiere, inquadrati con tanta poesia e con tanta sapienza in un’opera magistralmente tout court. Dalla recitazione alla musica, alle complesse coreografie messe in scena da un corpo di ballo assolutamente perfetto. Nel 2001 il film è stato scelto per la preservazione nel National Film Registry della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti ed è vincitore di quattro Oscar (migliori montaggio, scenografia, costumi e adattamento musicale) oltre che della Palma D’Oro a Cannes. Quando uscì venne letteralmente fatto a pezzi dalla critica italiana. A distanza di ben ventotto anni non se ne comprende il motivo.
 
Laura Savarino

ALL THAT JAZZ
(Usa, 1979)
 
di Bob Fosse
Durata: 123 minuti
Cast: Roy Scheider, Leland Palmer, Ann Reinking, Jessica Lange, Cliff Gorman

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