- n. 5 - Maggio 2003
- Psicologia
la morte seriale
Alla Signora Anna S., che mi scrive da Ragusa chiedendomi "se i morti della guerra in Iraq saranno seppelliti in fosse comuni e se questo significa che la pietà per i morti viene annullata dalla guerra", risponderò come segue.
Tutte le volte che nella storia si impone la morte "seriale", cioè quando non si muore ad uno a uno ma in massa, il rapporto tra i vivi e i morti tende ad imbarbarirsi.
Infatti, l'uomo si distingue dall'animale fin dagli albori della civiltà perché non tratta i morti come "cose" o rifiuti, ma se ne prende cura e li seppellisce, o ne disperde le ceneri con il rispetto e talvolta la pietà che è dovuta a chi ha subito l'offesa della morte e deve essere da essa difeso.
È ovvio, però, che ciò risulta possibile solo allorché ciascuno muore la sua morte separatamente e distintamente dagli altri o se, anche quando muore insieme ad altri, qualcosa marchi la differenza di ciascun morto (ad esempio la composizione di ciascun cadavere separatamente dagli altri nelle tombe collettive o plurime che si possono vedere nei musei di Antropologia).
Quando ciò è impossibile perché i morti sono tanti e si smette di farne la conta (come è accaduto nell'ultimo conflitto in Iraq con una specularità perfetta: fosse comuni per gli oppositori di Saddam, fosse comuni per i militari iracheni), o perché non se ne conosce l'identità, essendo il compito di seppellirli affidato ai nemici che li hanno uccisi; allora i morti diventano "rifiuti nocivi" da smaltire e il rapporto tra i vivi e i morti diventa simile a quelle che si trova in Natura tra gli animali che li abbandonano ai rapaci sapendo che li mangeranno facendo così pulizia.
Certo si può ammettere che sia un po' più "civile" smaltire i cadaveri di una battaglia seppellendoli in una fossa comune piuttosto che lasciar fare agli avvoltoi, ma il risultato sostanzialmente non cambia: i morti vengono in entrambi i casi trattati come "rifiuti", solo che siamo riusciti ad eliminarli in un modo meno "orrido" e più asettico.
Stando così le cose risulta vero che la guerra, producendo una morte seriale e tendendo a ridurre i morti a cose e a rifiuti, fa regredire ad uno stadio più primitivo il rapporto tra l'uomo e i suoi morti: è una delle situazioni che rendono l'uomo nuovamente "bestia".
Per il vero non è solo la guerra (civile o incivile) che produce questo effetto di imbarbarimento dell'uomo, dato che anche il terrorismo, gli eccidi di massa delle dittature e degli scontri interetnici o le epidemie possono produrre una morte seriale generando effetti simili. Ad esempio: a)molti corpi di morti sotto le Twin Towers non si sono potuti seppellire perché completamente disintegrati e quindi, irriconoscibili, giacciono dispersi tra lo sterro delle discariche nelle quali sono stati scaricati i detriti delle torri crollate; b)dove pensate che i monatti, durante la peste, portassero (e dove li portano oggi se scoppia virulenta una delle pestilenze, Ebola Sars, che ci minacciano) i morti senza più parenti se non in fosse comuni? c)nei campi di concentramento, in Cile, in Ruanda, in Cambogia, in Iraq e in chissà in quanti altri posti le fosse comuni si sono trovate o si troveranno.
Significa, tra l'altro, che dovremmo cercare di fare in modo che chi viene ucciso (dal nemico in guerra o da un agente patogeno) almeno venisse ucciso separatamente dagli altri, per poter mettere in opera quelle pratiche (veglie funebri, funerali, trattamento della salma, seppellimento, dispersione delle ceneri in luoghi prescelti, …) che fanno sì che l'uomo di fronte alla morte non ridiventi la bestia da cui sembra discendere.
La conseguenza logica è che dovremmo eliminare tutte le armi di distruzione di massa, chiunque le possegga, perché esse impongono una guerra che produce necessariamente una morte seriale. Tornare all'arma bianca e dover guardare in faccia colui che si vuole uccidere per poterlo uccidere da solo e così render possibile un trattamento civile del suo cadavere? È una di quelle strane situazioni dalle quali si deduce che talvolta il progresso tecnologico (che produce armi che distruggono in massa e senza un confronto diretto con il nemico) produce una involuzione della Umanità dell'uomo.
D'altra parte, come non pensare che tornando a fare la guerra tra singoli che si confrontano faccia a faccia l'orrore della guerra tra i popoli potrebbe finalmente prevalere, dato che, come dicono tutti, non è facile uccidere chi non ti ha fatto niente guardandolo negli occhi.
Resterebbe certo la guerra tra i singoli che si odiano, ma questi, senza le guerre collettive che rendono il nemico astratto e anonimo, potrebbero capire che quando il nemico ti implora di non ucciderlo hai già vinto e ucciderlo non serve più; o che salvare qualcuno (costruire) dà sempre più valore che ucciderlo (distruggere). Tanto più che se risparmi il tuo nemico eviti l'odio di suo figlio e salverai anche il tuo.
Non è allora più saggio il lupo che risparmia l'altro lupo quando questo, vistosi vinto, gli porge la carotide? E cos'è, se non questo, che hanno capito i familiari delle vittime delle Twin Towers quando gridano, senza essere ascoltati, che non vogliono si faccia in loro nome nessuna guerra?
Francesco Campione