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Il sentimento della morte nella religione ebraica

“Chi scende al regno dei morti, più non risale”. Giobbe 7,9.

La religione Ebraica, fondata da Mosè, è la religione monoteista più antica che l'uomo abbia conosciuto.  Questo aspetto è importante poiché in essa risiedono alcuni archetipi relativi ai riti sia della religione cristiana che musulmana. D'altronde tutte nascono da una matrice comune e si sviluppano sotto reciproci influssi.
Cronologicamente gli Ebrei circoscrivono le loro tradizioni religiose in un arco temporale che va dal IX ed il II secolo a.C. quando vengono stilati una serie di testi, successivamente raccolti nella Bibbia. Tradizioni che fioriscono e si sviluppano sotto le interessanti influenze di popoli assai potenti come gli Egizi, gli Assiri, i Babilonesi e soprattutto i Greci ed i Romani. E grazie a queste contaminazioni  si è mantenuta fino ad oggi una sottile linea rossa che ha unito credi e culture cronologicamente lontane.

Nella Bibbia dell'antico testamento il mondo dei morti ha un nome. Questo nome è Sheol. Fisicamente l'immagine dello Sheol è decisamente evocativa: il mondo è costituito da un cielo ricurvo, sotto cui c'è la terra sorretta da due colonne e sotto di essa c'è il regno dei morti. Oltre il regno dei morti solo l'abisso. Questa prima visione è sicuramente simile a quella mesopotamica tanto che nel libro di Giobbe lo Sheol viene anche definito metaforicamente come “la terra delle tenebre e dell'ombra di morte”. L'etimologia della parola Sheol  rimane ad oggi incerta, ma tra le tante ipotesi che sono state esplicitate, una riguarda la somiglianza con la parola assiro-babilonese Shu-alu che significa “luogo in cui i morti sono legati”, riferendosi chiaramente ad una visione tetra ed infelice del dopo vita.
Purtroppo nell'antico testamento non vi è un disegno chiaro dei luoghi che caratterizzano il regno dei morti. Sappiamo con esattezza dove si trovano ma non ne conosciamo le caratteristiche fisiche.

Con il passare dei secoli però si afferma una nuova visione: a partire dal II secolo a.C. incomincia infatti a farsi strada un concetto nuovo e pieno di speranza: la Resurrezione. Le scuole di pensiero riferite a questa visione ebraica mantengono comunque delle differenze: mentre i Farisei credono alla resurrezione per coloro che hanno vissuto da giusti, i Sadducei rimangono in parte legati ad una visione mortale dell'anima. Nel libro di Daniele la resurrezione dell'anima è un concetto di grande conforto per coloro che credono in Dio e viene espressa con queste parole: “molti di quelli che dormono nella regione della polvere si risveglieranno: gli uni alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna. I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento, coloro che avranno indotto molti alla giustizia risplenderanno come le stelle per sempre”.
Una caratteristica stimolante della religione ebraica è quella di mettere spesso in discussione le varie visioni della vita e della morte. Le altre religioni monoteiste da questo punto di vista appaiono più dogmatiche. I testi biblici, che vengono commentati dai rabbini a partire dal III secolo dopo Cristo, danno vita prima al Mishnah  e poi al Talmud in cui vengono riprese le concezioni dei Farisei circa l'immortalità dell'anima dopo essere state rivalutate e rimesse in discussione.
Nella storia dell’Ebraismo le visioni dell'aldilà risultano controverse anche se ricche di particolari affascinanti: una di esse ad esempio parla di come l’anima rimanga legata al corpo per 12 mesi, un'altra di come invece, subito dopo la morte, essa abbia la possibilità di accedere direttamente al Gan Eden che rappresenta il paradiso terrestre o scomparire nella Geenna che rappresenta le fiamme dell'inferno. Successivamente i cristiani ed i musulmani riprenderanno i concetti di Gan Eden e di Geenna ampliandoli attraverso un'immagine più complessa e densa di particolari.
Di sicuro possiamo affermare che la morte viene accolta con serenità, poiché essa fa parte del normale ciclo dell’esistenza dell’individuo, ed anche quando si presenta in situazioni precoci è comunque segno del volere di Dio. La ritualità si traduce in un insieme di regole da osservare, chiamate Minhag e Mitzvah che mutano in base alla comunità di appartenenza del defunto.

Molto interessante è la ritualità legata al funerale nella religione ebraica, a cominciare dai rituali di purificazione che hanno radici antichissime e ricordano vagamente le influenze del popolo romano: consistono nel lavaggio del corpo come metafora della purificazione anche dell’anima. La salma viene vestita con semplicità ed adagiata in una bara anch’essa semplice proprio per sottolineare l’uguaglianza di tutti gli esseri umani davanti alla morte. Il defunto non viene mai lasciato solo fino a quando non viene sepolto. Il periodo del lutto segue regole ben precise, come vedremo più specificatamente nell’articolo seguente. La prima fase dura sette giorni, è un periodo di grande dolore che però non può incominciare di Shabbat, il sabato ebraico. Nemmeno la sepoltura può avvenire in questo giorno che però conta come uno dei sette giorni di lutto. In alcune tradizioni il lutto viene annullato se coincide con il Rosh ha Shanah, ovvero con il capodanno. Le tombe non vengono onorate con fiori, ma con un sasso posto con la mano sinistra, una strana tradizione che risale anche questa alla notte dei tempi, testimone del passaggio dei vivi.

Ogni Ebreo muore con la speranza dell’Olam habah nel proprio cuore. L’Olam habah è il mondo che viene, il mondo dei giusti in cui i padri ed i figli si ricongiungono nella pace eterna.
 
Miranda Nera


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