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La morte è una certezza anche in economia. Ma non basta.

Si dice sempre che l'unica cosa certa è la morte, ma si tratta di una certezza che può essere declinata in due modi diversi: dal punto di vista della vita individuale significa che prima o dopo, ma in un tempo definito, senza dubbio moriremo; da quello economico significa che l'investimento sui servizi funerari (cimiteri, funerali, ...) è un investimento sicuro, che non risente dei cicli economici (non c'è crisi).
Ma che relazione esiste tra queste due certezze?
Lo dice chiaramente l'illustre economista inglese Keynes quando afferma pressappoco che "gli investimenti a lunga scadenza non sono mai convenienti, perché a lunga scadenza saremo tutti morti". In sostanza, se anche facciamo l'investimento a lunga scadenza più conveniente, cioè se investiamo sui servizi funerari che non risentono della crisi, non ci conviene lo stesso, perché, prima o dopo, moriremo e non potremo goderne i proventi.
Ne possiamo trarre la conseguenza che nemmeno l'investimento più sicuro (la migliore certezza economica) è in grado di rassicurarci di fronte alla certezza della morte. Viene così a cadere la difesa contro la morte che una cultura basata sull'economia ci indica continuamente di fronte alla fine della vita, dato che non è affatto vero che più guadagni e più metti al sicuro i tuoi guadagni meno paura avrai della morte. La difesa vale un po' di più se ti metti dalla parte dei tuoi figli: ma siamo sicuri che perdere un padre o una madre possa essere compensato dal fatto che ti lascia un investimento sicuro?
Non è in sostanza l'economia che può mettere al riparo dal rischio di morire, sia che pensiamo alla nostra morte sia che pensiamo a quella dell'altro. Infatti, riuscire ad elaborare il lutto per la morte propria o per quella degli altri significa sempre "limitare il potere della morte", cioè far sì che la morte non sia una certezza e che morendo non si muoia del tutto.
Ma si può mettere in dubbio un luogo comune così consolidato come quello per cui l'unica certezza che abbiamo è quella per cui dobbiamo morire?
Una volta questo luogo comune si combatteva con un altro luogo comune: tutti pensavano che la morte è certa, ma che Cristo è venuto a dirci che la morte è un sonno e che di là il Padre misericordioso ci sveglierà e ci farà rinascere. Oggi, invece, tutte le volte che pensiamo alla certezza della morte vi associamo il pensiero del nulla: abbiamo finito col dare per scontato che morire significa non essere più niente. E allora di nuovo ci chiediamo se l'unica cosa che possiamo fare non sia lasciare qualcosa che duri al di là di noi, ricadendo così nell'illusione che ci siano valori duraturi (di nuovo investimenti sicuri anche a lungo termine perché si basano su qualcosa di certo).
Siamo di nuovo al punto di partenza. Come ne possiamo uscire?
Non sarà che dobbiamo ricominciare a concepire la possibilità (magari in un modo più all'altezza dei tempi) che morire non significhi "finire del tutto" bensì "vivere sotto altre forme"?
 
Francesco Campione

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