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I vent'anni in cui a Ferrara si fece il Rinascimento

La Morte di Cristo secondo Cosmè Tura

Dal 23 settembre 2007 al 6 gennaio 2008 Ferrara, a Palazzo dei Diamanti e a Palazzo Schifanoia, accoglie una mostra curata da Mauro Natale e dedicata al periodo d'oro dell'arte nella città estense: Cosmè Tura e Francesco del Cossa. L'arte a Ferrara nell'età di Borso d'Este. Nella seconda metà del ‘400, infatti, in città si sviluppò una vera e propria Scuola. In quel periodo, esattamente dal 1450 al 1471, Ferrara divenne un centro culturale in pieno fermento, caratterizzato dall'eccentricità e da un linguaggio espressivo, ricercato e sperimentale al tempo stesso, in piena sintonia con il temperamento e con il gusto del suo signore, Borso d'Este. Le basi su cui germogliò la Scuola Ferrarese vengono sottolineate all'inizio del percorso espositivo: la città, intorno alla metà del XV secolo, appare già fregiarsi della presenza di importanti artisti provenienti da varie parti d'Italia e d'Europa. Vi soggiornarono Andrea Mantegna, Leon Battista Alberti e il pittore fiammingo Rogier van der Weyden. Di quest'ultimo, la mostra propone a Palazzo dei Diamanti la celebre Sepoltura di Cristo, dipinta fra il 1450 e il 1455 e di proprietà degli Uffizi di Firenze. Sulla tavola, delle dimensioni di un metro per un metro circa, van der Weyden raffigurò il momento in cui le pie donne stanno per deporre il corpo di Gesù nel Santo Sepolcro. Il tema iconografico della morte di Cristo si era già diffuso in Europa a partire dal secolo precedente, ma in Italia cominciò ad essere particolarmente utilizzato in pittura proprio dalla seconda metà del ‘400. La scelta di esporre La sepoltura di Cristo di van der Weyden ha, dunque, un duplice significato: da una parte essa serve a testimoniare la presenza di questo artista presso la corte estense, dall'altra ci rammenta il ruolo fondamentale che la pittura fiamminga ha avuto nell'ambito di tutta la produzione pittorica del Rinascimento italiano e, in questo caso, ferrarese. Sulla tavola lignea van der Weyden raffigurò al centro la scena principale, con Maria Maddalena inginocchiata ai piedi di Cristo morto e sostenuto da quattro figure tra cui, a sinistra, è riconoscibile la Madonna. Sullo sfondo, il tipico paesaggio ricco di particolari minuziosamente ritratti, caro alla tradizione nordica, e che di lì a pochi anni farà il suo ingresso trionfale nelle opere dei maggiori artisti italiani. Una testimonianza di questo dialogo tra l'arte del nord e del sud dell'Europa è ben visibile soffermandosi ad osservare uno dei più importanti dipinti esposti, opera di Cosmè Tura. Anche in questo caso il soggetto è il Cristo morto; per essere più precisi si tratta di una Pietà rappresentata seguendo il classico schema di tradizione germanica delle Vesperbilder, sculture che ritraevano la Vergine Maria seduta mentre piange reggendo sulle ginocchia il corpo del proprio figlio appena deposto dalla croce. In verità, Tura non si limitò a proporre quello che fu un fortunato tema iconografico, ma col suo piccolo capolavoro (la tavola, dipinta nel 1460, misura appena 48x33 cm) intese accostare i toni drammatici delle rappresentazioni nordiche, visibili nel modo in cui raffigurò Cristo, alla tradizione decisamente nostrana, fatta di tratti dolci ed equilibrati, come appare evidente se si osserva la figura di Maria, interpretata come una madre dolcemente rassegnata alla morte del figlio perché consapevole del significato salvifico che essa avrà per tutti gli uomini. Il contrasto tra le figure del corpo di Cristo e quello della Madonna servì al pittore proprio per rafforzare il significato dell'evento rappresentato: una morte dolorosa in sé, ma portatrice della promessa di vita eterna. E Maria, seduta sul sepolcro destinato al figlio, sembra tenere in braccio Gesù Bambino. Nella Pietà di Cosmè Tura è quindi ravvisabile il concetto che la morte sia un evento passeggero, non una condizione definitiva.
Questa nostra breve passeggiata nella mostra ferrarese si prefigge l'obiettivo di risvegliare nel lettore il desiderio di visitarla perché per quante parole si possano usare per descrivere un'opera d'arte, nessuna di queste può mai sostituirsi al piacere e all'emozione di soffermarsi a guardarla con i propri occhi. Nessuno può leggere un libro e raccontarcelo; nessuno può ascoltare una canzone e descrivercela; può però parlarcene e invitarci a conoscerli, accendendo in noi la curiosità.
 
Daniela Argiropulos

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