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MEXPOFUN 2005

«Bueno, ya se acabò». "Bene, anche questa è fatta!", si potrebbe dire in traduzione libera. L'esposizione di Puebla, dopo un inizio incerto dovuto al fatto che il primo giorno delle date ufficiali (quelle che appaiono su tutti i documenti oltre che sui tabelloni esposti nel quartiere fieristico) era riservato al montaggio degli stand (paese che vai usanze che trovi!), ha raggiunto la sua velocità di crociera giungendo felicemente in porto.

Il non preventivato disguido ci ha permesso di approfittare, da turisti, della città e dei dintorni. Occorre dire che Puebla, che si trova ad un paio d'ore dalla capitale, è un piccolo gioiello. Oddio, piccolo si fa per dire visto che la città con i dintorni conta più di tre milioni di anime (è la quarta del Messico dopo la capitale, Guadalajara e Monterrey). Rimane il gioiello. O, piuttosto, i gioielli, che fanno di questo luogo, fondato nel 1531 dagli spagnoli sotto il nome di Ciudad de los Angeles, un caso unico di ricchezza architettonica, grazie alle numerosissime chiese, un centinaio, che ornano il centro storico e soprattutto ai più di mille palazzi nobiliari di stile coloniale ornati di mattonelle dipinte a mano (i famosi "azulejos") a dominante blu che si rifanno alla tradizione di Talavera de la Reina, città spagnola della Castiglia-Mancha, da cui gli artigiani ceramisti erano partiti per esportare la loro tecnica nel nuovo mondo. Tant'è che, pur prodotti in Messico, ancor oggi i manufatti continuano a chiamarsi ceramiche di Talavera. Il che non toglie che si continui a produrne anche in Spagna. Città, si diceva, attraente non solo per l'ingente patrimonio artistico, ma anche per la presenza di tassisti onesti, per la pulizia e, fatto non trascurabile, per la sicurezza che vi regna. In realtà il problema odierno di questa città riguarda l'afflusso continuo di clandestini in provenienza dai diversi paesi del centro e sud America che vi fanno tappa sulla strada da percorrere per tentare di raggiungere il miraggio americano. Un po' la Lampedusa della situazione.

La città è anche nota (non parliamo dell'immensa fabbrica di automobili creata dal fabbricante tedesco della "vettura del popolo") per il colle di Guadalupe sul quale ebbe luogo, il 5 maggio 1862, una famosa battaglia nel corso della quale le truppe messicane, in larga minoranza (2000 contro 6000) ed asserragliate nei fortini del colle, riuscirono a sconfiggere, sotto la guida del generale Ignazio de Zaragoza e dopo una battaglia condotta eroicamente da ambo le parti, le truppe francesi che vi lasciarono un migliaio di uomini. Gli accompagnatori locali omettono di precisare che l'anno successivo i francesi ripresero la città per rimanervi fino al 1867. È soprattutto la ragione per cui non esiste villaggio o città in tutto il paese che non abbia una strada, calle o avenida che sia, che non porti il nome di "5 de Mayo". Spesso essa si trova in prossimità del "Zòcalo" e cioè la piazza principale del luogo. Quando uno, giungendo in una cittadina messicana, non sa dove andare chieda del Zòcalo. Lì troverà il municipio, l'unico albergo, se ce n'è uno, e l'unico ristorante, sempre che esista. Altrimenti ammirerà folle di bellissimi e gioiosi bambini che inseguono un pallone da calcio sulla polverosa piazza del paesino oppure, nelle città "vere", freschi e ombrosi portici, piante lussureggianti e, per quanto riguarda Puebla, vigilesse da sogno in assai attillate divise color kaki tagliate su misura, perfettamente truccate (quasi uscissero da un centro di estetica) ed ornate di insegne dorate su petto, maniche e sul copricapo civettuolo che lanciano bagliori accecanti per poco che il sole le colpisca.

Non potremmo chiudere questa digressione turistica (ancora grazie agli organizzatori !) su Puebla senza ricordare i dintorni ed in particolare Tonantzintla ed Acatepec, dalle chiese straordinarie dove la tradizione india autoctona si sposa al barocco spagnolo con risultati spettacolari, e, soprattutto, Cholula, uno dei più antichi insediamenti umani del paese e dove su quella che era stata la più alta piramide del Messico, oggi invasa dalla vegetazione e difficilmente riconoscibile, gli spagnoli, incorreggibili ed indefessi costruttori di sacri edifici, eressero, per simboleggiare la conquista e con essa la predominanza della nuova religione sulle credenze del passato, la chiesa di Nuestra Señora de los Remedios. Né potremmo, da ultimo, trascurare di parlare del piatto principe della gastronomia locale e cioè l'universalmente noto "mole poblano". Si tratta di una salsa che accompagna il "pavo" (che non è come si potrebbe pensare, per assonanza, l'altezzoso pavone, ma un suo lontano e proletario cugino, il tacchino) e che si prepara unendo al cioccolato, che ne costituisce la base, pepe, peperoncino piccante (oppure il "chipotle", peperoncino affumicato anch'esso leggermente piccante), mandorle tritate, arachidi, cannella, grani d'anice, pomodoro, aglio e cipolla. Il tutto fatto cuocere per lunghissime ore in speciali recipienti tronco-conici di terracotta per dare origine a qualcosa di inconfondibile ed assolutamente sublime.

Venendo alla fiera, che si è aperta in un centro modernissimo di recente realizzazione nello stesso giorno, strana coincidenza, in cui si apriva l'assemblea nazionale dei produttori di "tortillas", essa è stata, secondo i nostri canoni, piuttosto modesta per quanto riguarda numero di espositori e superficie espositiva. Siamo rimasti esterrefatti di apprendere in Messico, a diecimila chilometri da casa e per bocca di interlocutori stranieri (il mondo è piccolo e le voci circolano rapidamente), che c'è stato chi, in Italia, è andato in giro, coprendosi di ridicolo, dicendo che eravamo stati in Cina per favorire, novello cavallo di Troia, l'invasione della penisola da parte dei produttori cinesi. Nientepopodimenochè! Costoro avrebbero (anche se mi rifiuto di crederlo tanto la cosa mi pare idiota; preferisco pensare che si tratti di una deformazione del messaggio) presentato trionfalmente delle foto nostre in Cina, disponibili "ad libitum" su Internet, a comprova di tale losca ed ignobile attività. Il che, sia detto "en passant", non prova nulla. Peccato che non ci fossero anche compromettenti foto a mostrarci in piena ginnastica con le Mata Hari in versione orientale spediteci dai cospiratori per carpirci vieppiù informazioni utili per portare a termine il sinistro disegno. Ciascuno giudica ed agisce secondo il proprio metro. Non so come costoro (che non conosco, ma sarei curioso di sapere di chi si tratta) interpretino la presenza, tanto strombazzata, di una delegazione cinese ad una recente mini-manifestazione italiana.

Ritornando a MEXPOFUN, abbiamo ritrovato con piacere due produttori italiani: Ferrari e Forgione con i loro cofani e con gli inguaribili giramondo Daniele Mazzolini e Francesco Forgione. Quest'ultimo ha tenuto una interessantissima conferenza per meglio far conoscere le problematiche relative alla scelta dei materiali ed alla fabbricazione dei cofani. Conferenza certamente riuscita ed apprezzata dal folto ed attento pubblico, anche perché corredata da una iconografia chiara e completa. Ecco un esempio di quella che è l'Italia che ci piace, quella che "osa", che investe, che anziché chiacchierare raccontando baggianate opera, e che, alla fine, vince. Esattamente il contrario di quella pettegola e provinciale, di cui si parlava poc'anzi, che maschera la propria impotenza inventandosi complotti che, vogliamo dirlo?, non stanno né in cielo né in terra.

Per quanto riguarda gli altri prodotti abbiamo visto molte urne in materiali nobili (legno ed argento; non esistono le urne metalliche tanto in voga, per motivi di prezzo, in Francia e Germania). Non si dimentichi che in pochi anni il tasso di cremazione ha raggiunto, ci dicono, il 40%! In mancanza di statistiche ufficiali dobbiamo crederci. Quando poi si trattasse "solo" del 30 non sarebbe male lo stesso.

Qualche bronzo (presente, tramite distributore, un fabbricante spagnolo che non avevamo mai visto altrove) e qualche fotoceramica per la quale ci vengono evocati problemi di difficoltà di gestione degli ordini. Un fabbricante di forni crematori locale (dovevano esserci anche gli argentini di Lindberg che poi non si sono visti) e qualche fabbricante di carri funebri. Uno è stato venduto, cash, ad una impresa di Quito, in Ecuador, di cui uno dei tre responsabili presenti ha preso il volante per portarsela a casa ( 3500-4000 km.).

I visitatori, dicevamo, sono stati relativamente pochi. L'interesse, tuttavia, risiede nel fatto che la maggioranza di essi proveniva da vari paesi dell'America Latina (Ecuador, Colombia, Argentina, Panama, Costarica, Honduras, El Salvador, Venezuela, Santo Domingo, …). Questo dipende probabilmente dal fatto che la società organizzatrice, basata in Florida, ha la vocazione di intervenire a livello di scambi internazionali. Ciò ci ha permesso di stabilire contatti nuovi e di consolidare vecchie amicizie. È così che abbiamo ritrovato, con gioia, Mario Lacape, vero "number one" della professione nel suo paese, il Guatemala. Mario, che possiede oltre che l'impresa funeraria, un cimitero privato, una fabbrica di cofani nonché una fabbrica di prodotti chimici, ha per molti anni girato per tutti i Paesi del continente organizzando corsi teorico-pratici di tanatoprassi.

Nello stand attiguo al nostro abbiamo avuto l'enorme piacere di rivedere il sempre verde Bob Cassieri, accompagnato dalla moglie. Bob, un ex-marine che ha fatto la guerra di Corea e successivamente ha passato qualche tempo a Roma presso l'ambasciata USA, è originario della provincia di Potenza. Attualmente possiede una Funeral Home a Brooklyn. Nel suo italiano tipico e colorito, dall'inconfondibile accento "broccoliniano" eppure perfettamente comprensibile (non si dimentichi che Bob è nato in America), tutti i racconti sulle esperienze della sua lunga ed ancora attivissima vita assumono un sapore talvolta esilarante. Egli viene molto spesso in Italia ed a chi gli chiede se sua moglie lavori con lui risponde sorridendo, con rassegnazione, di no; che, anzi, l'attività principale della consorte è il "professional shopping", soprattutto in Italia dove è al corrente delle ultimissime novità e delle nuove stelle delle creazioni di moda. Lo vedremo certamente a Modena (chissà, forse assieme ad Harry Pontone, altro italiano di Brooklyn, titolare di Milso Group, più di 300.000 cofani all'anno). Anch'egli era estremamente soddisfatto del suo viaggio in Messico che gli ha permesso di trovare nuovi partner per i trasporti internazionali oltre che nuovi fornitori per certe gamme di prodotti da lui usati. Quello che ci seduce in questi senior americani è lo spirito giovanile e la continua ricerca di idee nuove per fare business. Il tutto condito da un ottimismo a prova di bomba e da una superficie economica talvolta considerevole. Il che aiuta fortemente in certi casi. Deborah Andres, sempre attivissima, è venuta a promuovere la NFDA e la relativa esposizione che si tiene quest'anno a Chicago per trasferirsi nel 2006 a New Orleans e l'anno successivo a Las Vegas.

Molte le conferenze, dalle quali è emersa la comune volontà di migliorare la qualità delle attività funerarie. Sono gli stessi problemi, a conferma che tutto il mondo è paese, che, in forme più o meno accentuate, ritroviamo da noi. In particolare la mancanza di professionalità e di rappresentatività di comparto - dovuta alle diverse ragioni (gelosie, ripicche, interessi, sovradimensionamento dell'ego) che in quasi i tutti i paesi impediscono di avere una federazione unica con un potere contrattuale solido di fronte agli interlocutori naturali - e i deficit legislativi e regolamentari. Si aggiunga il timore, spesso ingiustificato, dei "piccoli" nei confronti dei "grandi" con tutte le conseguenze facilmente intuibili. Tutto ciò molto sobriamente sintetizzato dall'organizzatore Pablo Cevallos nel suo discorso di chiusura della manifestazione.

Abbiamo lasciato Puebla per raggiungere la capitale, prima di ritrovare l'Europa, con la frustrazione di non poter bere un'ultima delle ottime birre di quel Paese. Infatti tutte le vendite di bevande alcoliche sono state vietate dalle ore 0 del sabato alle 24 di domenica a causa di elezioni amministrative che si tenevano nella città. Una copia del decreto era stata pubblicata da tutti gli organi di stampa. Essa ci era sfuggita impedendoci di fare le dovute provviste. Ciò detto, il ritardo è stato recuperato a Città del Messico dove, ringraziando chi di dovere, non c'erano elezioni. Ci rimane negli occhi l'immagine di tutte le panchine della ormai lontana Puebla e di tutti gli angoli più o meno reconditi dove, a qualsiasi ora della giornata, coppie, talvolta anche dello stesso sesso, rimangono avvinghiate per ore in posizioni di languido abbandono e quasi, diremmo, di profonda sofferenza. I "machos" locali si lasciano andare a sdolcinatezze tali da seriamente intaccare la loro reputazione di duri; le fanciulle, poi, si abbandonano, con inerte voluttà, alle leggere, eteree carezze dei loro amanti. Ci sono venuti in mente i versi di una canzone di molti decenni fa che parlavano di persone "avvinte come l'edera".

Molto più prosaico e esplicito, nel genere, un cartello scritto a mano che faceva bella mostra di sé presso un bar alla moda nell'animato, ombreggiato e gradevolissimo quartiere studentesco: "solicito muchachas" recitava il cartello.

"Cerco ragazze". Senza altri dettagli!

Hasta luego!

 
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