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COSA METTERE AL POSTO DELLE TORRI GEMELLE?

Il Corriere della Sera ha dedicato lo scorso 30 gennaio una intera pagina al reportage della sua corrispondente da New York, Alessandra Farkas, alla discussione che si è accesa negli Usa sulla destinazione dell'area (6,5 ettari) di Manhattan nella quale sorgevano fino allo scorso 11 settembre le Twin Towers ed ormai diventata famosa col nome di 'Ground zero'.
Si può avere tutta la documentazione in proposito visitando la mostra allestita dalla galleria Max Protetch (A New World Trade Center Proposal) e consultando il volume a cura dell'associazione degli ingegneri e architetti (New York, New Vision) pubblicato sul sito nynv.aiga.org.
Ci sono, come spesso accade, due tesi contrapposte ed una proposta di compromesso. Le tesi in contrasto sono:
I. quella di chi ha interesse a ricostruire (i padroni delle torri gemelle, i palazzinari, i commercianti del quartiere, ...) secondo la quale non bisogna trasformare la zona in una deprimente necropoli come farebbero gli europei, ma essere americani fino in fondo, cioè ottimisti, e guardare avanti, cioè costruire al posto di ciò che è stato distrutto qualcosa di altrettanto o addirittura di più importante e così sconfiggere la morte;
II. quella dei parenti delle vittime i cui corpi non sono stati recuperati (e mai lo saranno) che considerano Ground zero un luogo sacro, una specie di cimitero dove si può costruire al massimo un memoriale ad imperituro ricordo delle vittime.
La proposta di compromesso prevede un ibrido tra un memoriale ed un complesso di uffici, negozi, ristoranti, combinati più o meno armoniosamente. Si tratta di soluzioni che, a prescindere dagli interessi che esprimono, vanno analizzate come espressioni dell'elaborazione collettiva del lutto che necessariamente deve seguire ad un evento tragico come quello dell'11 settembre perché l'Umanità che lo ha subito lo superi tornando a vivere.
Chi vuole ricostruire mira a sostituire ciò che è stato distrutto mostrando che era legato in modo strumentale alle torri che non ci sono più ed alle stesse persone che vi sono morte sotto: basta allora sostituirli con altri edifici e con altre persone che servano agli stessi scopi.
Non passerà molto che un nuovo presente farà dimenticare il passato e consentirà di pensare al futuro con ottimismo. Chi vuole fare di Ground zero un luogo sacro (un camposanto) vuole fare un monumento alla sua anima, avendo come unica possibilità per superare il lutto delle persona care perdute il seppellirli vivi dentro di sé.
Segno dell'impossibilità di sostituire ciò che si è perso e del bisogno che sia socialmente consentito loro, attraverso un monumento, di non dimenticare mai. Chi può sostituire coloro che sono morti li considera oggetti d'amore intercambiabili, chi li vuole far vivere in eterno nel ricordo li considera parti del proprio sè che possono vivere in sé anche quando non ci sono più come oggetti.

Quella del compromesso è una proposta di ingegneria sociale mirante ad accontentare tutti nella convinzione che le due modalità di elaborazione del lutto che si contrappongono possano convivere in una unica soluzione architettonica.
In sostanza chi propende per il compromesso ritiene possibile far convivere nello stesso luogo ciò che serve per dimenticare i morti (l'affaccendarsi degli affari e il divertimento) con ciò che serve per ricordarli (i cimiteri o i memoriali).
In realtà si tratta di due modalità di elaborazione del lutto che non possono convivere se non per andare entrambe in crisi e cioè per propiziare un superamento verso una terza modalità che non è un compromesso tra le due. Se, in altri termini, chi va a Ground zero per piangere i propri morti si ritrova accanto a coloro che vanno al luna park o al night club, potrà avere il dubbio che forse sarebbe meglio distrarsi e dimenticare piuttosto che vivere anno dopo anno la propria vita nel culto di morti che non tornano.
D'altra parte, chi va a Ground zero per andare al night o al luna park e si ritrova insieme a coloro che vanno a visitare il memoriale può dubitare di non avere il diritto di divertirsi e può chiedersi se non sia più giusto ricordare invece che dimenticare.
Insomma, la proposta di far convivere ciò serve a dimenticare (affari e divertimenti) con ciò che serve a ricordare (i memoriali) è assurda se non si ammette che esista una terza modalità di elaborazione collettiva del lutto (terza rispetto alla modalità del sostituire e a quella del ricordare per far vivere).
È la più ragionevole se invece si ammette questa possibilità, ma bisogna far entrare in crisi le altre due perché essa diventi realtà nei comportamenti e nelle scelte di chi, individualmente o collettivamente, deve elaborare un lutto. Ora io credo che oggi le cose stiano proprio così: le più diffuse modalità di elaborazione del lutto sono quella del sostituire e quella del ricordare; una terza possibilità esiste, ma deve maturare nelle coscienze individuali e nella coscienza collettiva, e può maturare solo attraverso l'entrata in crisi delle due modalità dominanti.

La terza modalità consiste nel riconoscere contemporaneamente l'insostituibilità dei morti e l'impossibilità della memoria di far rivivere coloro che non ci sono più.
La Umanità, in altri termini, di fronte alle sue tragedie dovrebbe superare il dilemma tra la dimenticanza che allevia il dolore di chi resta, ma uccide una seconda volta chi non c'è più, e la memoria che riconosce a chi non c'è più il diritto di continuare ad esserci, ma condanna chi resta all'impossibile compito di resuscitare coloro che mancano tenendoli presenti, cioè ricordandoli.
L'esempio più eloquente del nostro tempo è quello dell'olocausto degli ebrei: chi dimentica gli ebrei cremati nelle camere a gas consegue una leggerezza esistenziale pagata al prezzo di un secondo olocausto; chi li ricorda volendoli far rivivere si condanna ad una esistenza infelice che non deve essere estranea alla fascinazione del suicidio di cui soffrono molti di coloro che sono scampati ai campi di concentramento.
Elaborare i lutti in questo terzo modo significa non dover dimenticare per poter sostituire chi non c'è più e così poter continuare e vivere, né dover ricordare per potersi convincere che chi non c'è più è vivo nonostante sia morto! Chi non c'è più non si può sostituire perché ognuno vive la sua vita e ciò è un dato ineliminabile anche quando di questa vita si perdesse ogni traccia nella memoria degli altri.

Chi non c'è più non si può riportare in vita anche se gli altri vivessero solo per ricordarlo.
Ma se l'altro lasciandomi affidasse la sua vita a me in un senso diverso dall'essere ricordato? Se l'altro lasciandomi affidasse a me la sua vita al punto che essa ora è la mia vita? Che altro significano le comunicazioni di coloro che da sotto le macerie delle due torri gemelle hanno telefonato ai loro cari? Forse sarebbe bastato loro sapere che sarebbero stati ricordati in un modo o nell'altro?
Chi resta ha la possibilità di vivere per chi non c'è più non solo perché lo ricorda, ma perché gli è stata affidata la sua vita e da quel momento egli non è un altro ma è con e per l'altro che non c'è più.
Ecco cosa può significare elaborare il lutto per chi non c'è più senza dover dimenticare o dover ricordare: se chi muore ti affida la sua vita , la tua vita da quel momento sarà vissuta in un modo differente perché l'altro ora sono io a prescindere dal dimenticarlo o dal ricordarlo.
L'Umanità è palesemente lontana dal poter attuare questa modalità di elaborazione del lutto, poiché non vi è nell'Umanità di oggi niente di più difficile e screditato di ciò che passa tra noi, l'essere con e per gli altri. Tuttavia, non c'è niente di più desiderato di ciò che ci può liberare dalla prigionia del nostro dover vivere ciascuno per sé, come dimostra la ricerca più frequente in tutti che è quella di qualcuno a cui affidarsi e che ci si affidi.
Di fronte a tragedie collettive come quella delle Torri gemelle si può quindi fare qualche passo nella direzione di questa terza modalità (forse quella autenticamente umana) dell'elaborazione del lutto se si riesce a metter un po' in crisi le due modalità dominanti.
Ecco perché fra le risposte su cosa mettere al posto delle Twin Towers ritengo che quelle di compromesso siano le più mature.


 
Francesco Campione

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