È noto in quale misura la Vienna tra fine Ottocento e primi decenni del secolo ventesimo sia stata un formidabile laboratorio di avanguardie filosofiche, musicali, letterarie ed artistiche, i cui protagonisti avrebbero impresso un segno indelebile sulle epoche successive. Un nome per tutti: Sigmund Freud. Una delle più note e singolari figure di quel mondo, al centro del quale si collocò anzitutto per le sue varie ed inquiete vicende sentimentali, è quello di Alma Mahler. A ventun anni, nel 1901, già indiscussa reginetta dei salotti culturali viennesi, sposò appunto il più grande e controverso compositore del momento, Gustav Mahler, che aveva il doppio di anni di lei. Fu in seguito moglie dell'architetto Walter Gropius, fondatore del movimento Bauhaus, decisivo per le sorti dell'architettura del '900, e poi anche del celebre scrittore Franz Werfel. Vicende sentimentali a parte, un'amicizia personale e artistica molto forte la legò anche al compositore Alban Berg (1885-1935), ultimo e grandissimo rappresentante della triade di musicisti viennesi che, a partire dal suo maestro Arnold Schoenberg, rivoluzionò la musica colta del secolo scorso.
Berg nel 1935, ultimo anno della sua vita, era un uomo inquieto, stanco, malato. Stava completando il suo secondo e ultimo capolavoro operistico, la Lulu (che rimarrà incompiuto) quando nel febbraio ricevette da un violinista americano la commissione di un concerto per violino e orchestra. Berg accettò, e concrete necessità economiche contribuirono certo alla decisione, ma ben altre e più profonde motivazioni spirituali erano destinate a venire alla luce attraverso questa composizione; e fu proprio l'amicizia con Alma a fare da catalizzatore.
La commissione del concerto era già arrivata da qualche tempo quando morì Manon, la diciottenne figlia che Alma appunto aveva avuto da Gropius. Quell'evento tragico toccò profondamente Berg. "Prima della fine di quest'anno terribile - egli scrive all'amica - esprimerò in musica per te, in una partitura che sarà dedicata alla memoria di un angelo, ciò che sento e non posso esprimere oggi a parole".In questo ultimo lavoro di Berg le asprezze e le dissonanze del linguaggio musicale dodecafonico si piegano quasi miracolosamente ad intonare, quando occorre, accenti di lirismo struggente ed intenso, di infinita tenerezza per ciò che è perduto. Così, nella prima parte, il compositore spiega di aver voluto attraverso la voce del violino "tradurre in caratteri musicali i tratti peculiari della fanciulla". Successivamente, un terribile "grido" dell'orchestra è l'immagine sonora della morte e, spiega il musicologo e amico dell'autore Willi Reich, "gemiti e stridule richieste d'aiuto si fanno udire con forza nell'orchestra; ma sono soffocati dalla morte che s'avvicina con un ritmo opprimente". Il riferimento al tema del congedo dalla vita diventa in un certo senso più esplicito quando poi Berg inserisce nel tessuto musicale la ripetuta citazione di un corale di Bach, il cui testo (riportato in partitura) così suona: "È abbastanza. Signore, se lo vuoi, liberami dal giogo; addio, mondo. Vado nella casa celeste, sicuro ed in pace. Il mio dolore resta qui. È abbastanza, è abbastanza!".
"Alla memoria di un angelo" è il sottotitolo con cui l'ultimo capolavoro di Berg è da tutti ricordato; ma non c'è ascoltatore che non senta quanto profondamente il musicista in quegli ultimi mesi abbia in realtà intonato anche il congedo, il Requiem, della sua stessa non lunga vita.