- n. 1 - Gennaio 2011
- Cultura
Memento Mori
"Vanitas vanitatum, et omnia vanitas"
"Vanità delle vanità, tutto è vanità"
Ecclesiaste
La vita non sempre ricorda all’uomo che per la sua stessa natura terrena e poco longeva deve morire. Ogni civiltà si è presa cura di questa particolare tematica, proponendo soluzioni differenti e compromessi tra la paura della morte e la serenità che essa lascia a seconda del luogo, della religione e del periodo storico in cui si è sviluppata.
La sensibilità degli antichi romani per il tema della morte, e quindi per la vita stessa, era molto forte e si esprime nella famosa locuzione latina “Memento mori”, dal significato evocativo e sottilmente inquietante: “Ricordati che devi morire”. La frase trae origine da una particolare usanza tipica dell'antica Roma: quando un generale rientrava nell’Urbe dopo una grande vittoria sui nemici, e sfilando per le strade su un carro dorato raccoglieva gli onori che gli venivano tributati dalla folla mediante il corteo detto “Trionfo”, correva il rischio di essere sopraffatto dalla superbia e dal delirio di onnipotenza, facili emozioni nell’uomo che ha compiuto grandi azioni. Proprio per evitare che ciò accadesse uno schiavo, un servo tra i più umili, veniva incaricato di ricordare all'autore dell'impresa la sua natura umana e mortale (per tanto limitata e caduca) e lo faceva pronunciando questa semplice frase all’orecchio del generale, come riporta Tertulliano. I Romani, che a loro volta ripresero molti usi e costumi dai Greci, della vita intendevano bene i valori e la misura ricordandone il senso con queste parole. Non solo: riuscivano anche a ridimensionare le emozioni delle più grandi personalità del tempo (imperatori, consoli o generali) ricordando loro che ogni vittoria è effimera e transitoria a confronto con la morte. Il motivo di fondo, oltre a tale giusta considerazione, è anche quello che l’idea stessa della vita non deve eccedere nelle cattive attitudini quali superbia, avarizia o tutti quei peccati che saranno poi elencati nella cristianità, ma va vissuta appieno, godendo delle più piccole soddisfazioni poiché domani si potrebbe non essere più su questa terra. Una sorta di certezza (morte) nell’incertezza (vita) che avrebbe dovuto placare gli animi dei più valorosi perché si riteneva allora che un uomo che non rispetta il prossimo è un uomo che non rispetta la propria Patria e quindi, da ultimo, un potenziale nemico. I Romani sapevano bene come l’animo umano è debole e facile all’altrui prevaricazione.
Dalle parole sussurrate all’orecchio si giunge all’iconografia di epoca Medievale, assai più incisiva nell’immaginario delle anime del popolo: il tema pittorico del Memento Mori ha trovato grande applicazione nell’arte di quel periodo. La morte è stata utilizzata come scusa, come ricatto della vita e alla vita. Molte sono le rappresentazioni di giudizi universali e di trionfi della morte negli affreschi delle chiese; non solo, anche le reliquie dei santi possono essere considerate una sorta di Memento Mori a cui però è stata data valenza sacra e devozionale. Così questa frase giudiziosa è entrata nel messaggio cristiano che andava diffondendosi per dare una risposta alle calamità che segnarono quel lungo e buio periodo, tra il IV e il XIV secolo, cambiando però la prospettiva originale: la morte ricordava ai vivi di comportarsi bene senza eccedere in vizi e, anzi, esaltando le virtù. Questa particolare scelta in un grande momento di decadenza culturale ha trasformato il pensiero in immagini facilmente trasmissibili alle persone. Abbiamo una nuova “versione” del tutto differente da quella originale che ricordava di “vivere bene, poiché ad un certo momento della vita si muore”: in questo caso la morte è indicata come scopo della vita e la vita come mezzo per cui si arriva alla morte, una sottile ma profonda differenza.
Una delle più importanti riflessioni sull’argomento da parte della cristianità sono state le architetture sacre (abbazie, chiese, cattedrali, cimiteri) e il bisogno di segnare il luogo della sepoltura dei defunti con sepolcri e con tombe decorati. Il perché è da ricercare nel senso che la morte lascia ai dolenti, che pensano ai propri defunti e a loro stessi come futuri defunti: ”Noi siamo ciò che siete voi adesso, chi si scorda di noi dimentica sé stesso … “. Non solo il pensiero dell’uomo è sempre stato rivolto alla morte, ma anche l’arte si è cimentata in tema funebre con immagini e con simbolismi di non sempre semplice e chiara comprensione: sull’argomento troviamo riferimenti quali scheletri, colonne spezzate, fiori appassiti, teschi, clessidre e orologi che rimandano all’inesorabile scorrere del tempo giungendo alla costruzione di un movimento trasversale alle arti quale la “natura morta”.
Dalle immagini forti e convincenti degli affreschi medievali si passa quindi alla dolcezza apparente delle immagini Barocche che indiscutibilmente traggono l’amore per gli intricati simboli dal precedente periodo. L’antico motto latino, passato il periodo di buie e rigorose interpretazioni, assume un diverso significato: non dimentichiamo che è questa l’epoca del lusso, della teatralità, dello stupore, eppure la popolazione rivolgeva le proprie ansietà alla morte vivendo nell’attesa dell’ora dell’addio. Anche in questo caso le immagini vinsero sulle parole: entra nell’ arte e nel sentire comune il principio della “vanitas”, un tema pittorico sviluppatosi con la Controriforma e che ha il suo massimo sviluppo nel Seicento con l’unione di elementi vitali con altri derivanti da quella che è definita la tradizione iconografica del Memento Mori. La differenza rispetto all’interpretazione precedente è l’obiettivo di stupire e di sconcertare tipico della teatralità dell’epoca. Il significato intrinseco di queste opere era la volontà di stimolare la riflessione sulla caducità della vita umana e sullo stretto legame che la stessa ha con la morte: elementi di beni terreni (del tutto simbolici quali libri, candele, strumenti musicali) erano accostati sempre ad elementi del trapasso.
Del
Memento Mori abbiamo ampie testimonianze, non solo nell’ arte. L'
ordine dei
frati trappisti, fondato nel 1664 adottò queste parole come motto: i monaci ripetevano continuamente tra loro la frase e scavavano, poco per volta ogni giorno, la fossa destinata ad accoglierli con lo scopo di avere sempre presente l'idea della morte e quindi il senso della vita destinata a finire. Per molti secoli questa locuzione ha fatto riflettere cambiando il proprio stato da parole a immagini composte. Dallo stupore che discende dal
Memento Mori deriva ancora una domanda fondamentale che si applica perfettamente alla sua definizione: possiamo dire di ricordarci della morte in un clima culturale in cui si tende continuamente a rimuoverla? Qual è per noi, oggi, il nostro
Memento Mori?
Gaia Lucrezia Zaffarano