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L'opera di Cherubini al Regio di Torino

E Medea uccise i figli

Non c'è morte più terribile di quella di un bambino ucciso; non c'è orrore più indicibile di quello di un bambino ucciso dalla propria madre. Ma il grande teatro tragico greco si può dire che non arretri di fronte ad alcuno dei più allucinati abissi dell'animo umano.
Euripide è l'ultimo in ordine cronologico dopo Eschilo e Sofocle dei tragediografi ateniesi del V secolo a.C. di cui alcuni testi sono giunti fino a noi. Egli affrontò il tema che abbiamo annunciato riprendendo e rielaborando autonomamente le leggende riguardanti un personaggio femminile, Medea, che grazie a lui avrebbe conseguito una fama tanto immortale quanto terribile, e avrebbe poi attratto l'attenzione di altri grandi autori, da Seneca nell'età di Nerone a Corneille nel Seicento francese, per giungere alla versione cinematografica di Pier Paolo Pasolini (per citarne solo alcuni).
La vicenda messa in scena per la prima volta da Euripide prende le mosse dalla leggenda degli Argonauti: l'eroe Giasone, a capo di un eccezionale equipaggio (includeva Ercole, Orfeo, Castore e Polluce!), pilota la mitica nave Argo per andare in Oriente a conquistare il preziosissimo Vello d'oro. Decisivo per la sua impresa è l'aiuto dell'affascinante e terribile maga Medea, alla quale si unisce avendone anche due figli. Ma al ritorno in Grecia la abbandona per sposare un'altra donna, la figlia del re di Corinto, e le sottrae i figli.
Questo dunque è il nodo che non potrà sciogliersi se non con una lacerazione violenta, tragica appunto. In questa sede, però, non è il capolavoro euripideo che vogliamo approfondire; a questo punto lasciamo la parola alla musica, vale a dire a quella che è senza dubbio la più importante fra le varie versioni musicali del dramma euripideo: la Medea di Luigi Cherubini (1760/1842). Médée in originale, perché il compositore fiorentino si stabilì definitivamente a Parigi e vi divenne la maggiore autorità in campo musicale nel periodo rivoluzionario e napoleonico. L'opera, secondo lo stile consueto del compositore, non concede volutamente pressoché nulla alla gradevolezza della melodia e del canto, ma la forza, il fuoco dell'urgenza tragica vi divampano in modo davvero impressionante. Ecco dunque dispiegarsi davanti a noi la figura dell'eroina umiliata e feroce, vittima e carnefice al tempo stesso, che tra furie e pentimenti mette però alla fine in atto la vendetta terribile che il suo istinto ha concepito: uccidere non solo la rivale con le sue arti magiche, ma affondare la lama nel corpo stesso dei suoi figli, per colpire irreparabilmente l'animo del padre.
Anche per le caratteristiche musicali sopra accennate, al di là del grande successo iniziale si tratta di un'opera un po' per intenditori: stima altissima per l'opera e per il compositore in grandi maestri come Beethoven e Brahms; costante accoglienza presso il più colto pubblico tedesco, molto meno in Italia, Francia e altrove. Ci voleva il genio di Maria Callas, la sua formidabile statura di eroina tragica sia sul piano musicale che sul piano scenico, la sua profonda consapevolezza culturale per ridare vita a questo personaggio, che da allora è di nuovo sulle scene in tutto il mondo, regolarmente anche se non frequentemente.
Non era mai stata rappresentata al Teatro Regio di Torino, che ha finalmente colmato la clamorosa lacuna inaugurando con quest'opera la stagione 2008/2009. Come altre grandi interpreti che la hanno preceduta nei decenni scorsi, da Leyla Gencer a Shirley Verrett, la protagonista Anna Caterina Antonacci, una delle migliori primedonne di questi anni, ha affrontato il ruolo per nulla intimorita dal confronto con Maria Callas, non cercando ovviamente di imitarla; la scelta è stata assolutamente vincente. Come nessun'altra potrebbe fare attualmente, ha prestato al personaggio la sua espressività intensa, lo splendore del timbro e della linea vocale, e la bellezza severa del volto e del portamento (ben nota al pubblico internazionale dei teatri lirici ...). Di alto livello come sempre regia, scene e costumi di Hugo de Ana, che sposta l'azione negli anni '20 del secolo scorso. In grande evidenza la parte della nutrice affidata alla bravissima Sara Mingardo; buona a giudizio dei più la prestazione degli altri protagonisti dello spettacolo, dal tenore Giuseppe Filianoti al basso Giovanni Battista Parodi, al direttore Evelino Pidò alla guida dei complessi del Regio, con una particolare menzione per il neodirettore del coro Roberto Gabbiani.
 
Franco Bergamasco

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