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Gli italiani e il ricordo dei defunti

Il cimitero è stato, e in parte continua a essere, l’istituzione centrale dell’organizzazione sociale della morte e della memoria dei morti nelle nostre società. Il cimitero nasce come città dei morti.

È quindi il luogo in cui i morti sono confinati lontano dai vivi e in cui la memoria è conservata. I cimiteri sono però, allo stesso tempo, anche i luoghi in cui le relazioni tra i vivi e i morti e i legami tra la generazione del presente e quelle del passato, sono celebrate in forme ritualmente codificate e culturalmente accettabili. La visita al cimitero e la cura dei sepolcri costituiscono momenti centrali di queste relazioni.
Se nel corso del 2021, nonostante le restrizioni imposte dalla pandemia, il 64% degli italiani maggiorenni è andato almeno una volta al cimitero, quanti sono andati in particolare il 2 novembre per celebrare il giorno dei morti? Chi sono queste persone? E che cosa fanno quando vanno al cimitero?

È assai radicata nel senso comune l’idea che il culto dei morti, e quindi anche la partecipazione alla giornata della commemorazione dei defunti, stiano perdendo progressivamente terreno e importanza nella nostra società. Questa idea non trova però riscontro nei dati raccolti dall’Osservatorio di Ricerca sulla Morte e le Esequie dell’Istituto Cattaneo.

Il giorno dei morti è una tradizione ancora rispettata in Italia, è una ricorrenza prevalentemente familiare e che rinsalda i legami tra i vivi e i morti.
Il 2 novembre 2021, nonostante le restrizioni, si è recato al cimitero il 37% degli italiani maggiorenni. La disponibilità a visitare il cimitero nel giorno della commemorazione dei defunti è lievemente più alta tra le donne che tra gli uomini, cresce al diminuire del titolo di studio e, come è lecito attendersi, è fortemente correlata con l’età. Tra gli ultrasettantenni, infatti, raggiunge quasi il 50%. Interessanti, però, sono soprattutto le differenze territoriali.
La quota di popolazione che si reca al cimitero in occasione della festa dei morti cresce passando dalle regioni del Centro a quelle del Nord, con una leggera prevalenza del Nord-Ovest sul Nord-Est, per raggiungere il massimo nelle regioni meridionali e insulari. Al Sud e nelle Isole, il 2 novembre, va al cimitero oltre il 43% dei maggiorenni residenti. L’incidenza delle visite al cimitero per il giorno dei morti, poi, cresce al diminuire della dimensione dei comuni e raggiunge i valori più alti nei comuni con 20 mila residenti o meno. I livelli di rispetto della tradizione, quindi, risultano tutt’altro che trascurabili in tutto il Paese, ma è nei comuni di dimensioni medio-piccole e piccole, e nelle regioni meridionali, che il 2 novembre è maggiormente sentito e i livelli di partecipazione sono più elevati.

Nella maggior parte dei casi la giornata del 2 novembre non si risolve nella visita di una sola tomba. Oltre l’85% degli italiani dichiara di visitare più di una tomba e quasi il 30% ne visita oltre 5. Inoltre, molti italiani non visitano un solo cimitero. Oltre un quarto di loro ne visita più di due. La commemorazione dei defunti, quindi, non sembra tradursi in una visita a una sola tomba. Appare più come una ricorrenza di cui si approfitta per svolgere quello che molti italiani definiscono “un giro”, che può richiedere di spostarsi in più punti dello stesso cimitero, se non tra più cimiteri, in modo da dedicare un po’ di tempo a tutti i propri defunti. A titolo di esempio, riportiamo le parole di un giovane intervistato della provincia di Napoli che ci ha raccontato come viene rispettata la tradizione del 2 novembre nella sua famiglia: «Al cimitero il 2 novembre vado con mio padre o accompagno mia madre, quando lui non c’è perché ha da lavorare. Anche se non siamo praticanti la nostra è una tradizione: facciamo il giro in tutti i cimiteri, che sono 4. Andiamo, parliamo con gli operai, facciamo sistemare, guardiamo se le luci funzionano, portiamo fiori e lumini. Non è che stiamo tanto tempo. Andiamo facciamo un saluto, guardiamo la foto, stiamo qualche minuto, ci mettiamo a pensare a qualche ricordo, guardiamo le date. Per esempio, nel giro ci sta pure il nonno di mio padre, cioè una persona che io non conosco, però che ha lo stesso nome mio. Soprattutto con mio padre andiamo pure vicino a delle persone che in realtà non ho mai conosciuto, tipo i suoi nonni e bisnonni».
La ricorrenza della commemorazione dei defunti, quindi, non è solo un evento a cui gli italiani dedicano buona parte della loro giornata. È anche un evento eminentemente sociale, che coinvolge aggregati di individui uniti tra di loro da vincoli nella maggior parte dei casi familiari e qualche volta – anche se in misura di gran lunga inferiore – amicali. Solo poco più di un italiano su cinque si reca al cimitero il 2 novembre da solo. Si tratta, nella stragrande maggioranza dei casi, di vedove e vedovi soli. Ma per oltre tre italiani su quattro la visita al cimitero è un evento che include tutti gli appartenenti all’aggregato familiare, compresi spesso anche i bambini.

Il carattere sociale del 2 novembre non è testimoniato solo dal carattere familiare della visita. Gli italiani che vanno al cimitero, in occasione della giornata a cui si fa in genere riferimento semplicemente come “i morti”, rinsaldano in varie forme i loro legami con chi non c’è più.
La stragrande maggioranza di loro, oltre tre quarti, trascorre tempo in raccoglimento davanti a una lapide o una tomba. Dichiara di adottare questa pratica, infatti, ben il 76% degli italiani, senza differenze tra uomini e donne. La diffusione di questo comportamento cresce con l’età, ma tra i più giovani resta comunque di gran lunga maggioritario. Ben il 66% degli italiani, poi, dichiara di pregare davanti alla tomba. Si tratta di un valore decisamente elevato, superiore alla diffusione che la preghiera ha al di fuori di questa ricorrenza e che mostra come il modello di lutto, e in generale di culto dei morti, resti sostanzialmente religioso.
Pari al 68% è pure la quota di coloro che dichiara di portare fiori sulla tomba del proprio caro/a. Si tratta di una pratica la cui diffusione cresce con l’età, passando dagli uomini alle donne e dall’Italia settentrionale a quella centro-meridionale, ma che mostra di restare ben salda. È comune tra gli operatori l’idea che portare fiori sulla tomba, o in occasione dei funerali, sia una pratica meno diffusa. I dati raccolti da ORME, tuttavia, gettano una luce inedita su questo comportamento. Appare infatti del tutto plausibile che nel passato portare i fiori al cimitero fosse una pratica ancora più diffusa di quanto non lo sia oggi. È anche possibile, però, che la diminuzione abbia riguardato il numero di fiori, le dimensioni dei mazzi o delle corone e la frequenza della sostituzione, piuttosto che l’incidenza della pratica in sé sulla popolazione. È possibile, quindi, che oggi portare i fiori non sia meno diffuso che in passato. A essersi ridotta potrebbe essere la spesa dedicata al loro acquisto, oltre che naturalmente la frequenza delle visite al cimitero. In definitiva, i dati rilevati confermano che in Italia i fiori mantengono il proprio ruolo di testimoni della relazione tra i vivi e i morti.
Lo confermano altri due comportamenti indagati: pulire le tombe o le lapidi e accendere i lumini. Il primo dei due comportamenti riguarda una quota ben superiore alla metà del totale degli italiani, ovvero il 55%. Il secondo supera comunque i due terzi, ovvero il 36,5%. In entrambi i casi la pratica cresce con l’età, passando dagli uomini alle donne, mentre più modeste appaiono le differenze territoriali, anche se i lumini appaiono più diffusi nel Nord-Ovest e al Sud.
Dati raccolti dall’Osservatorio di Ricerca sulla Morte e le Esequie (Italia, 2022, N=1500).

 
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