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L'istituto del Trust
(parte prima)

L'istituto del trust, che pure esiste da diversi anni, sta divenendo una tematica di grande attualità a seguito del riconoscimento fiscale conferitogli dalla Finanziaria 2007. Riteniamo utile organizzare l'esposizione dell'argomento in tre approfondimenti mensili, per consentire il graduale recepimento delle informazioni fondamentali. Questo mese ci occuperemo degli aspetti civilistici e contabili necessari per comprenderne l'utilizzo, a giugno verrà esaminato il trattamento fiscale ai fini delle imposte sui redditi e a luglio il trattamento fiscale ai fini delle imposte indirette.

Il trust è un istituto originario del sistema giuridico anglosassone che ha come caratteristica fondamentale il fatto di consentire la segregazione patrimoniale dei beni in esso conferiti. Da tempo ha trovato riconoscimento giuridico anche nel nostro Paese, ma solo con la Legge Finanziaria 2007 è stato regolamentato anche dal punto di vista fiscale, divenendo per la prima volta soggetto passivo di imposta.
Il trust è entrato a far parte dell'ordinamento italiano nel 1989, con la ratifica della Convenzione dell'Aja del 1 luglio 1985 (Articolo 2 della Legge n. 364 del 16 ottobre 1989, entrata in vigore il 1 gennaio 1992). A tutt'oggi è uno strumento decisamente innovativo ed unico: non esistono in Italia istituti della sua stessa portata. Il nostro Paese è stato fra i primi ad avere ratificato la Convenzione che, ad oggi, è riconosciuta anche da Australia, Canada, Cina e Hong Kong, Cipro, Francia, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Regno Unito e Stati Uniti. Prima del 1989 la giurisprudenza si era più volte manifestata contraria alla riconoscibilità del trust nel nostro ordinamento, in quanto strumento compatibile solamente con un sistema di tipo common law. La Convenzione dell'Aja ha rappresentato un decisa apertura internazionale nei confronti di questo istituto, dandone una definizione e prevedendo le ipotesi per le quali gli Stati aderenti possono esercitare la facoltà di riconoscimento interno.
Data la sostanziale discrezionalità lasciata ai singoli Paesi, a seguito della ratifica della Convenzione dell'Aja l'Italia ha visto la costituzione di numerosi trust: ciò ha causato non pochi problemi, per le difficoltà di coordinamento fra le regole alla base di questo istituto e le numerose leggi italiane. La figura del trust ha trovato però una sua collocazione specifica nella normativa civilistica soltanto con la conversione in legge del Decreto n. 273 del 2005, il cosiddetto "decreto milleproroghe", che ha introdotto nel Codice Civile l'articolo 2645-ter, in vigore dal 1 marzo 2006, che ammette la possibilità di trascrivere nei registri immobiliari un "fondo patrimoniale di beni mobili e immobili con vincolo di destinazione". Omettendo di soffermarci sugli aspetti di carattere meramente legale, vogliamo comunque sottolineare che la nuova impostazione giuridica dell'istituto ha definito in modo rigoroso i confini rispetto a istituti similari quali, ad esempio, il fondo patrimoniale, distinzione che poi è stata recepita anche dalla nuova normativa fiscale.
Un trust viene definito "interno" quando è posto in essere da disponenti italiani, su beni siti in Italia, gestiti da soggetti italiani, a favore di beneficiari italiani; in tutti gli altri casi si parla di trust "estero".
In passato un trust, ancorché costituito all'estero, acquisiva riconoscimento in Italia se costituito mediante scrittura privata, scrittura privata non autenticata, o atto pubblico. La particolarità del trust era infatti quella di essere regolato dalla legge scelta dal costituente: tale scelta doveva risultare anch'essa per iscritto ed era essenziale che l'ordinamento prescelto prevedesse l'istituzione del trust. Sino alla approvazione dell'ultima Legge Finanziaria, dunque, per individuare gli elementi caratterizzanti un trust, si faceva riferimento alla Risoluzione del 17 gennaio 2003, n. 8/E, la quale stabiliva che questo doveva essere considerato una mera interposizione tra due soggetti, e quindi essere fiscalmente trasparente, quando venivano soddisfatte due condizioni:
- piena discrezionalità del gestore nell'amministrazione e nella gestione dei beni oggetto di trust;
non coincidenza tra disponente e gestore.
Quando le due condizioni non erano soddisfatte, il trust veniva trattato come un autonomo centro d'imposta, altrimenti ad essere fiscalmente colpiti erano i possessori effettivi dei redditi.
L'accezione di trust estero, che pure mantiene le caratteristiche sopra descritte, è notevolmente variata con la Finanziaria 2007 che ne ha ristretto la definizione, specificando che si considerano residenti in Italia (e quindi trust interni), salvo prova contraria:
1. i trust istituiti in Paesi diversi da quelli indicati nel decreto del Ministro delle Finanze 4 settembre 1996 (Paesi white list), in cui almeno uno dei disponenti e almeno uno dei beneficiari siano fiscalmente residenti nel nostro Paese;
2. i trust istituiti in un Paese diverso da quelli white list quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust una attribuzione che comporti il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari, anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi.
È evidente che il fine perseguito sia quello di attrarre a tassazione in Italia i redditi prodotti da trust costituiti all'estero unicamente per finalità elusive. In effetti, spesso il trust è stato accusato di essere potenzialmente contrario ai principi tradizionali sanciti in tema di responsabilità patrimoniale, nonché uno strumento idoneo ad eludere la tassazione sui redditi: per questi motivi la Finanziaria ha posto le due presunzioni di residenza di cui sopra, che, in ogni caso, sono relative, ovvero passibili di prova contraria. Si ritiene quindi che la nuova normativa in vigore limiti il ricorso a trust esteri nel nostro Paese, attraendo in Italia tutti i redditi prodotti in modo fittizio da soggetti italiani localizzati all'estero.
Appare evidente come la Finanziaria 2007 abbia ampliato la definizione di trust interno. Oggi, dunque, un trust ha residenza fiscale e conseguente tassazione nel nostro Paese quando, per la maggior parte del periodo d'imposta, ha sede legale, sede amministrativa o oggetto principale nel territorio dello Stato. Il rinnovato articolo 73 del dpr 917/86 prevede inoltre che "si considerino residenti nel territorio dello Stato i trust istituiti in un Paese non White List quando, successivamente alla loro costituzione, un soggetto residente nel territorio dello Stato effettui in favore del trust un'attribuzione che importi il trasferimento di proprietà di beni immobili o la costituzione o il trasferimento di diritti reali immobiliari anche per quote, nonché vincoli di destinazione sugli stessi". La Finanziaria 2007 ha definito le condizioni di tassazione del trust e dei beneficiari; intento principale della Legge è quello di disincentivarne il ricorso equiparandolo, ai fini fiscali, alle società.
L'articolo 1, comma 76, della Finanziaria 2007 ha modificato l'articolo 13 del dpr n. 600/1973 estendendo l'obbligo di tenuta delle scritture contabili anche ai trust. In particolare, la suddetta norma prevede che "ai fini dell'accertamento sono obbligati alla tenuta di scritture contabili [...] i trust, che hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali [...], nonché i trust, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali". In tal senso, occorre quindi distinguere:
a) trust che hanno per oggetto esclusivo o prevalente l'esercizio di un'attività commerciale: in tal caso il trust dovrà sottostare agli obblighi previsti dagli articoli 13-18 del dpr 600/1973, ovvero:
  • libro giornale;
  • libro degli inventari;
  • registro dei beni ammortizzabili;
  • scritture ausiliarie di magazzino;
  • tenuta delle scritture contabili;
  • redazione del bilancio;
b) trust che non hanno per oggetto esclusivo o prevalente l'esercizio di un'attività commerciale: per essi vige l'obbligo di tenuta delle scritture contabili previste dall'articolo 20, dpr 600/1973, con la separazione per le eventuali attività commerciali esercitate.
 
Alessandra Pederzoli

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