- n. 1 - Gennaio/Febbraio 2023
- In ricordo di...
Arrivederci Sergey
Un commosso ricordo di una delle figure di spicco del mondo funerario russo.
Lo scorso 4 luglio ci ha lasciati l’amico Sergey Borisovitch Yakushin, si tratta di una perdita importante non solo per il mondo funerario russo ma per quello mondiale visto il ruolo di primissimo piano che ricoprì nello sviluppo dei rapporti internazionali del settore.
Era nato il 9 Giugno 1953 a Kemerovo, città di 600.000 abitanti della Siberia sud-occidentale, a meno di 300 km dalla capitale siberiana Novosibirsk, capoluogo dell’omonimo oblast’ (provincia) oltre che centro carbonifero di primaria importanza. Città alla quale mi legano ricordi estremamente positivi dato che colà, grazie soprattutto all’intervento determinante di Sergey Yakushin, avevo
illo tempore (nel mezzo degli anni ‘90 del secolo scorso, prima che la crisi finanziaria russa ed il tracollo del rublo del ‘98 facessero sentire le loro pesanti conseguenze sugli affari) portato a buon fine un’importante missione per conto dell’impresa francese, leader europea del settore, in cui operavo.
Le sue indubbie capacità organizzative lo avevano destinato ad assumere un ruolo di rilievo in seno agli organi amministrativi della repubblica siberiana dove ebbe l’incarico di formare i quadri dirigenti. Dopo la fine dell’Unione Sovietica nel 1991 (la bandiera con la falce e martello fu ammainata per l’ultima volta al Cremlino il 25 dicembre di quell’anno e da allora vi sventola il tricolore russo) alle persone più intraprendenti e preparate, e non v’è alcun dubbio che Sergey Yakushin lo fosse, vennero offerte opportunità di intervenire nel mondo economico creando lavoro e con esso ricchezza e benessere per sé e per i suoi collaboratori.
Fu così che iniziò ad operare nel mondo funerario. E fu così che ebbi la fortuna di entrare in contatto con lui. Sergey era in quel momento
dirigente della Sibirskaya Yarmarka (la Fiera siberiana) di
Novosibirsk che organizzava una cinquantina di esposizioni all’anno di vari settori merceologici.
È in quel periodo che si rese conto che il mondo funerario russo era in condizioni deplorevoli e che con l’aumentare del tenore di vita grazie al nuovo sistema economico, sarebbero esplose, soprattutto nelle grandi città, anche le richieste di un servizio esequiale più adeguato ai tempi.
Da qui l’idea di organizzare un evento focalizzato su queste attività.
Si rese parimenti conto che miglioramenti e nuove idee non potevano che arrivare da Paesi dove tale professione si situava già su livelli di eccellenza. Per questo motivo nel 1993
lanciò una serie di inviti ad aziende estere a partecipare alla nascita di Necropolis, prima fiera funeraria russa.
Jacques Marette, il titolare dell’azienda in cui mi trovavo, aderì con entusiasmo ed iniziammo immediatamente i preparativi per recarci nella lontana Siberia, superando tutte le complicazioni amministrative di una burocrazia ancora di stampo sovietico.
Arrivammo a Novosibirsk in maggio quando iniziavano a sciogliersi le nevi ed i ghiacci del lungo inverno siberiano, prima che negli acquitrini iniziassero a proliferare miliardi di zanzare della peggior specie. Si alloggiava nel tetro hotel
Sibir dell’Intourist, l’unico praticabile dagli stranieri: una struttura grigia, come l’atmosfera che lo permeava, tipica del periodo sovietico, dove le conversazioni telefoniche, talvolta difficili da ottenere, erano spesso “monitorate” dal centralino.
La cospicua esperienza in proposito, acquisita nei numerosi viaggi nei Paesi dell’Europa centro-orientale (memorabile la camera di un albergo di Novi Sad dove erano visibili ad occhio nudo, oltre che palpabili lungo la circonferenza, le sagome circolari dei microfoni installati sotto la carta da parati), mi faceva capire il momento esatto in cui la linea passava sotto controllo; a quel punto auguravo nella lingua locale (per ogni nazione avevo imparato la formula adeguata) un buon giorno al terzo incomodo e continuavo le mie conversazioni che non avevano nulla da occultare.
Il fascino principale del Sibir risiedeva nel fatto che era attiguo alla stazione della Transiberiana, la leggendaria linea ferroviaria che collega Mosca a Vladivostok. Per chi come me coltivava da anni il desiderio di effettuare quel viaggio, poter udire lo sferragliare dei treni e gli annunci provenienti della stazione alimentava quel sogno che ancora attende di essere vissuto. Se mai lo sarà un giorno…
Novosibirsk è stata fondata nel 1893 in corrispondenza di un ponte ferroviario costruito sul fiume Ob per la transiberiana. Il suo nome era
Aleksandrovskij essendo lo zar Alessandro III morto a 48 anni di nefrite nel 1894. Nel 1895 essa divenne
Novonikolaevskij in onore del figlio e successore, Nicola II. Nel 1925 assunse il nome attuale. Oggi è una città ricca, con la presenza di grosse catene alberghiere e di svaghi di ogni genere, oltre che di attività culturali di eccellenza.
È la terza città della federazione dopo Mosca e San Pietroburgo, una vera capitale. I suoi abitanti la considerano il centro geografico della Russia.
Fu all’aeroporto di
Novosibirsk -
Tolmachevo, dove era venuto gentilmente ad accoglierci, che conoscemmo personalmente Sergey che ci fece subito una eccellente impressione. Non solo si esprimeva in un inglese perfetto, ma quando parlava ti guardava negli occhi ed era preciso e sobrio nelle risposte. Ci fu subito un
feeling, spero reciproco, di stima e simpatia.
Il giorno dell’inaugurazione del salone ci fu vicino e
mise in evidenza il fatto che noi fossimo il solo ed il primo Paese occidentale presente alla rassegna. Per qualche anno ancora l’evento si fece a Novosibirsk per trasferirsi successivamente a Mosca, nella Russia europea, dopo una o due edizioni a San Pietroburgo. Tuttavia a Novosibirsk continuò ad essere organizzata un’esposizione funeraria consacrata quasi esclusivamente al mercato interno con prodotti della tradizione.
Molti anni dopo, in occasione del venticinquesimo anniversario di
Necropolis, nel corso della cerimonia di chiusura dell’evento mi consegnò una scultura per ricordare tangibilmente quella prima presenza “occidentale” all’evento. Fu un momento di alta intensità emotiva e fu anche l’ultima volta che ebbi l’occasione di abbracciare l’amico di un quarto di secolo. Già l’anno successivo, infatti, non partecipò all’esposizione dovendo sottoporsi a delle cure. Riuscivo ad avere ogni tanto qualche notizia sporadica da
Dmitry Evsikov, il suo braccio destro, ma la discrezione di Sergey era tale che le informazioni erano estremamente succinte.
La manifestazione nel frattempo era cresciuta sia dal punto di vista della partecipazione di espositori e visitatori stranieri che, e soprattutto, da quello della qualità di certi prodotti fabbricati localmente. In fondo il sogno di Yakushin si realizzava un passo dopo l’altro.
Sergey era russo e di quel popolo aveva i molti pregi senza averne i difetti. Alla bonomia, alla serietà, al rispetto degli impegni presi si accompagnava una sobrietà rara nei suoi compatrioti.
E poi la voce, la sua bella voce baritonale che risuona ancor oggi nelle orecchie di chi ha avuto la fortuna di sentirlo parlare, sempre con tono pacato, che rendeva ancor più bella quella meravigliosa lingua che era la sua. Mi è stato vicino negli affari fornendomi indicazioni soprattutto sui mercati ospedalieri siberiani e dandomi tutti i consigli utili per negoziare nel migliore dei modi. Quasi sempre con successo.
Contrariamente alla grandissima maggioranza dei suoi connazionali evitava la vodka e più in generale non era un appassionato delle colazioni di lavoro che tanto vanno di moda in Italia, ma soprattutto in Francia dove hanno valore quasi istituzionale. Quante volte alla proposta di recarci in un ristorante osservava che “c’era ancora molto da fare” e che sarebbe stato inutile perder tempo seduti a tavola! Era quello che con un infelice, ma espressivo, neologismo della lingua inglese viene definito un
workaholic e cioè uno stacanovista. Anche perché
i suoi interessi non si limitavano alle attività funerarie.
Sempre pieno di idee
aveva persino aperto una discoteca. Lo seppi quando un giorno che ci si trovava a Benevento, si precipitò in un negozio di musica uscendone con una scorta impressionante di CD che gli servivano per animare le serate del suo locale di cui non sospettavo minimamente l’esistenza.
In un’altra occasione, a Roma, mi pregò di attenderlo in una stradina attigua al Vaticano. Dopo un po’ di tempo arrivò stracarico di oggetti sacri comperati nei numerosi negozi della zona. Alla mia domanda se essi corrispondessero alla religione ortodossa mi rispose, con la sicurezza di chi sa il fatto suo, che comunque sarebbero stati apprezzati ed acquistati. Giusto il tempo di sistemarli in auto e via di corsa in una parallela di via Turati, verso la stazione Termini, dove si recò in un locale di sua conoscenza uscendone quasi sommerso da decine di grandi cuscini che riempirono tutto il sedile posteriore impedendomi persino di usare lo specchietto retrovisore.
Una mente in perpetua ebollizione insomma. Basti pensare alla
scuola per modelle che aveva aperto a Novosibirsk e che in breve incominciò ad inviare le belle, spesso bellissime, ragazze russe in giro per il mondo. A questo proposito ricordo una sfilata organizzata, assecondato dalla cara Natalya Golavskaya, nei saloni dell’Hotel Crillon, uno dei più prestigiosi di Parigi sulla
Place de la Concorde, con le sue
mannequins, alcune delle quali sono poi rimaste in Francia. Era stato anche distributore DHL in Siberia in collaborazione, credo, con la consociata tedesca.
Ciò detto
la sua realizzazione principale è stata, fuor d’ogni dubbio, la costruzione del Crematorio di Novosibirsk. Opera monumentale fatta di materiali di altissima qualità conforme ai migliori standard mondiali. Essa perpetuerà perennemente il nome del suo creatore così come il
museo funerario che è diventato ormai un modello del genere e la cui collezione si arricchisce costantemente.
Sergey, lo ribadisco, era russo fino al midollo. L’amicizia non era una vana parola ma un modo di essere. Ne avemmo tutti la prova quando trovandosi a Bologna per Tanexpo e saputo che il nostro amato Nino Leanza era sofferente (ci avrebbe lasciato pochi giorni dopo la fine della fiera) non esitò in piena notte siberiana a telefonare al responsabile dell’unità di ricerca della famosa scuola di Medicina di Novosibirsk dove venivano condotte importanti ricerche per varie patologie. Gli furono chiesti dei documenti che spedimmo immediatamente a quel direttore che diede rapidamente una risposta di cui capimmo immediatamente il tenore vedendo il volto affranto di Yakushin prima ancora che iniziasse a parlare.
Era russo anche nei dettagli della vita personale. Basti pensare al culto del patronimico (
òtchestvo in russo, da
otets/padre) dando al figlio il nome del nonno, così si usava anche in Italia, soprattutto nel meridione e io stesso ne sono un esempio! Sergey Borisovitch (figlio di Boris) era il suo nome e suo figlio non poteva essere altro che Boris Sergeyevitch.
Di ricordi ce ne sono tantissimi come quello del giorno in cui, in un albergo dove usava alloggiare a Parigi mi fece l’insigne onore di presentarmi sua madre che aveva portato per farle visitare la capitale francese. Una signora elegante e mite verso la quale Sergey (che in Francia amava farsi chiamare “Serge”) manifestava un profondo affetto filiale non disgiunto da un grande rispetto. Esattamente il contrario di quanto accade, non sempre per fortuna, oggi nelle nostre società dove gli anziani vengono spesso considerati degli impicci, quando non addirittura dei pesi da sopportare e di cui sbarazzarsi il più rapidamente possibile una volta passati a miglior vita. Anni dopo, in occasione del centodecimo anniversario dell’azienda in cui lavoravo, feci conoscenza anche con la sua signora, in occasione di una serata organizzata nei locali della “Mutualité” sulla
rive gauche.
Si potrebbe continuare a lungo evocando ricordi e bei momenti passati assieme. Preferisco tuttavia ricordare gli ultimi momenti della sua vita che, nonostante l’amarezza per alcune vicende create da concorrenti sleali e scaltri, voglio immaginare pieni di serenità e di amore attorniato dalle persone care. Sergey era credente e non si tratteneva dal ricevere con gli onori dovuti gli alti prelati del Patriarcato di Mosca che regolarmente partecipavano (assieme ai rappresentanti delle altre confessioni) a
Necropolis e soprattutto di baciare con profonda manifestazione di fede le icone che gli venivano presentate.
La sua anima è salita al cielo ma la sua presenza rimane indelebile per tutti coloro che lo hanno conosciuto, per la sua saggezza e la sua bontà. Che la terra ti sia lieve Sergey Borisovitch. Riposa in pace!
Pietro Innocenti