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L’immemoriale e cosa comporta

Elaborato nel diritto romano e ormai abbandonato, sopravvive nel diritto pubblico ed è diffuso in merito a concessioni di tombe e cappelle.

Una recente sentenza della Giustizia Amministrativa ci ricorda cosa è l’istituto dell’immemoriale e soprattutto cosa comporta.

Studiando all’Università ho amato il diritto romano e ritengo particolarmente interessante trovarmi a ragionare su uno dei suoi istituti più celebri.

Mi riferisco all’immemoriale.

Segnatamente, l’istituto dell’immemoriale è stato elaborato nel diritto romano per fornire tutela a situazioni le cui origini si perdono nel tempo e per le quali, anche per questo, non è possibile addurre un titolo formale. L’immemorabile, largamente diffuso durante il medioevo, è stato abbandonato con l’avvento delle moderne codificazioni (in Italia, con il Codice civile del 1865), in quanto non più compatibile con le norme in tema di prescrizione e usucapione previste nei rapporti tra privati.

Tuttavia, esso “sopravvive nel diritto pubblico e trova applicazione al fine di riconoscere, attraverso un procedimento presuntivo, la legittimità di un esercizio di fatto corrispondente ad un diritto per un tempo immemorabile, allorché manchi un atto formale di concessione e si intenda adeguare per «un’elementare esigenza di giustizia» la situazione fattuale a quella giuridica «quale principio generale valido ai sensi dell’art. 12 preleggi»” (così Cass. civ., sez. un., 4 settembre 2018, n. 21598, cit.; cfr. altresì Cons. St., sez. V, 24 ottobre 2019, n. 7267).

L’istituto è in realtà altro che un mezzo di prova del diritto per presunzione ai sensi dell’art. 2729 cod. civ.. L’articolo infatti recita: "Le presunzioni non stabilite dalla legge sono lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise e concordanti. Le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude la prova per testimoni".

Insomma, per dirla in parole semplici, dal fatto noto – l’utilizzo del bene protratto senza soluzione di continuità e senza contestazioni per un arco temporale assai lungo, del cui momento iniziale non si ha traccia - è possibile dedurre il fatto ignoto - ossia l’esistenza di un titolo (presunzione che, in quanto semplice o iuris tantum, può essere superata da una dimostrazione contraria).

Tale istituto ha avuto ampia diffusione proprio nel “nostro” settore, voglio dire quello cimiteriale, secondo il quale la prova dell’uso delle concessioni relative a tombe o cappelle da un tempo remoto e senza che negli anni vi siano mai state contestazioni comporta la prova del diritto d’uso della concessione stessa (si veda T.A.R. Piemonte, sez. II, 22 dicembre 2020, n. 899).

La questione non è di poco momento, poiché una volta “provato” mediante l’istituto dell’immemoriale il diritto del concessionario “da tempo immemore” allora è possibile presumere anche la loro natura perenne della stessa concessione.

In proposito, deve rammentarsi che sino al 1975 le concessioni cimiteriali potevano essere rilasciate sine die, secondo quanto previsto dall’art. 70 del r.d. n. 1880 del 1942 e, in precedenza, dall’art. 100 del r.d. n. 448 del 1892, mentre solo l’art. 83 del d.p.r. n. 803/1975 (ora art. 92 del d.p.r. n. 285/1990) ha introdotto il principio della necessaria temporaneità dei nuovi titoli concessori (che sono a tempo determinato e di durata non superiore a novantanove anni, salvo rinnovo).

Dunque, ove un utente riesca a provare di essere titolare di concessione cimiteriale “perenne” sine die l’Amministrazione non può fare applicazione del regime del rinnovo, predicabile per i soli rapporti di durata sottoposti a termine. Cosa significa questo? Che l’Amministrazione non può “cambiare il termine” da perenne a temporaneo (così limitando il diritto dell’utente).

Ed ora occorre rivolgere la nostra attenzione al Comune. Di fronte ad un istituto che agevola la prova (per presunzione) della concessione perenne, cosa può fare la città?

Vari sono gli strumenti, che se debitamente attivati e “gestiti” portano ad un agire legittimo della Pubblica Amministrazione:
  • l’esercizio del proprio potere di autotutela, per sopravvenuti motivi di interesse pubblico, o per mutamento della situazione di fatto non prevedibile al momento dell’adozione del provvedimento, o anche, semplicemente, per una nuova valutazione degli elementi e dei presupposti preesistenti.
  • la stesura di Regolamenti di polizia mortuaria in cui la transizione da concessione perenne a perpetua, venga disciplinata con cautela.
Proprio a tal riguardo si segnala che la giurisprudenza (TAR Liguria, I, 28.4.2022 n. 324; C.G.A. Reg. Sic., sez. giur., 10 settembre 2020, n. 762) ha sancito che il regolamento cimiteriale comunale può disporre la trasformazione delle concessioni sepolcrali da perenni in temporanee allorché sussistano le condizioni stabilite dall’art. 92, comma 2, del d.p.r. n. 285/1990 e cioè:
  • una grave situazione di insufficienza del cimitero;
  • l’impossibilità di procedere all’ampliamento o alla costruzione di un nuovo camposanto.
Così se da un lato le Pubbliche Amministrazioni possono gestire lo spazio e i contratti in modo conforme alla norma, gli interessi del privato cittadino altresì sono tutelati: il bilanciamento tra le Parti è ancora una volta prima che imposto dalla norma, opportuno per mantenere dei rapporti sereni con la cittadinanza, in un settore che, lo sappiamo, è centrale.
 
Avv. Alice Merletti & Avv. Elena Alfero

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