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Idrolisi alcalina, la nuova moda USA

Una reazione chimica alla base del processo ecologico che si propone di affiancare i metodi classici di inumazione, tumulazione e cremazione.

In un periodo storico in cui l’allarme per il cambiamento climatico causato dall’incremento della temperatura terrestre preoccupa scienziati ed esperti, il tema dell’ecologia è molto sentito a livello mondiale.
Dopo anni di allerte lanciate dagli studiosi su più fronti, anche i più riluttanti hanno cominciato a valutare seriamente il problema climatico e le azioni da mettere in campo per poter mitigare, se non frenare, l’avanzata del “punto di non ritorno” previsto intorno ai prossimi venti anni.

In questa ottica di riduzione delle emissioni inquinanti nell’atmosfera per limitare i danni di effetto serra e l'innalzamento della temperatura, numerosi metodi alternativi e soluzioni green spuntano anche in ambito funerario: sono innovazioni più o meno realistiche che si propongono di affiancare le classiche inumazioni, tumulazioni e cremazioni. L’idrolisi alcalina è una di queste “nuove forme” di gestione della salma: arriva dall’estero e sta prendendo piede soprattutto in alcuni stati degli Usa. Ma può davvero cambiare il modo di pensare dell’opinione pubblica e il lavoro degli operatori del settore? E potrebbe, una soluzione così diversa rispetto a quelle attualmente proposte, entrare a far parte delle opzioni possibili anche nel nostro Paese?

Da quando l’essere umano ha iniziato le sepolture rituali dei corpi, che si sono evolute nei secoli seguendo religioni, tradizioni e abitudini delle diverse culture locali, l’impatto della nostra civiltà sull’ambiente è cresciuto in maniera costante anche oltre la vita. L’essere umano si è evoluto in una società che ha un importante impatto ambientale in tutti gli ambiti e quindi anche nel settore funerario e cimiteriale. Ma il modo in cui vengono curati, preparati e gestiti i corpi dei defunti è fortemente legato a numerosi aspetti della società: religioni, credenze e riti locali contribuiscono a creare un certo tipo di visione generale che viene poi modellata sui principi personali di ogni individuo. Insomma, le abitudini funebri cambiano molto anche a seconda del territorio.

L’inumazione, uno dei metodi più antichi e ancora molto utilizzato nella società moderna, è la scelta più diffusa in Italia. Un Paese cattolico e religioso come il nostro basa le proprie radici e credenze sull’importanza di mantenere il corpo “integro” e anche tra chi non crede o non pratica, il cofano e l’inumazione sono spesso la prima scelta rispetto ad altre opzioni.

Negli ultimi anni anche la cremazione sta diventando più popolare e richiesta. Soprattutto dopo l’avvento del Covid e grazie alla possibilità di conservare le ceneri e portare a casa i resti dei propri cari, la cremazione sta diventando una valida alternativa. Tra le nuove generazioni è una scelta comune: sono molte le persone che richiedono di essere cremate e che le proprie ceneri vengano consegnate ai familiari o disperse nei luoghi preposti dalla legge.

Questi metodi sono inquinanti? In parte sì. Ovviamente l’utilizzo di materiali adeguati per i cofani e di macchinari moderni per i forni riducono molto l’impatto ambientale, ma non del tutto. Ed è questo che viene criticato da chi propone nuovi metodi ecologici come, ad esempio, l’idrolisi alcalina.

Cos’è l’idrolisi alcalina?

Le alternative ai metodi classici di inumazione e cremazione sono numerose e stanno guadagnando consensi soprattutto all’estero. Tra queste c’è appunto l’idrolisi alcalina o acquamazione. Ma in cosa consiste? Ed è davvero così sostenibile e possibile come viene presentata da chi la promuove?

Il processo di acquamazione è una sorta di “cremazione con l’acqua” che non usa il fuoco per l’incenerimento e che negli Stati Uniti è diventata legale e consentita in numerosi stati: California, Florida, Kansas, Idaho, Texas e altri.

Come funziona nella pratica? Come detto, si tratta di un processo chimico: il corpo viene introdotto in una capsula metallica chiusa ermeticamente e immerso in un composto di acqua e idrossido di potassio. Il liquido viene portato a una temperatura di circa 160 gradi mentre la capsula viene pressurizzata in modo che non si arrivi all’ebollizione del composto. Il corpo all’interno si liquefà in circa 6 ore lasciando residui di facile smaltimento: un liquido verde-marrone che contiene zuccheri, peptidi, sali e aminoacidi e le ossa, che non vengono intaccate dalla reazione chimica e che vengono polverizzate tramite altri processi. Il liquido, analizzato e purificato, può essere smaltito nella rete fognaria mentre le ossa ridotte in polverina vengono consegnate ai familiari in un’urna.

Un pregio dell’idrolisi alcalina è quello di poter recuperare con facilità i materiali inorganici una volta terminato il processo: l’idrolisi alcalina infatti non intacca protesi, dispositivi medici e impianti dentali che possono essere così smaltiti in modo sostenibile nel rispetto delle norme ambientali.

Questa pratica al momento non è consentita in Italia, come non lo è in molti altri Paesi particolarmente legati a determinati riti e religioni, e per questo è impossibile richiederla. Inoltre, essendo consentita solamente in alcuni Paesi, sono poche le aziende in grado di offrire questo servizio, come la Bio Response Solutions (Usa) e la scozzese Resomation che hanno concentrato il loro business proprio su questo tipo di offerta, con conseguente predominio del servizio.
L’idrolisi alcalina non è un procedimento recente: fu messo a punto a fine ‘800 per lo smaltimento del bestiame ed è ancora in vigore soprattutto per neutralizzare gli effetti pericolosi derivanti dalle carcasse di animali morti a causa di virus e infezioni che potrebbero diventare pericolose e contagiare altri capi o addirittura insediamenti umani. L’acquamazione infatti inattiva i virus, i batteri e i prioni.

L’applicazione sugli esseri umani è arrivata negli anni 2000 quando le scuole di medicina americane hanno iniziato ad usarla sui corpi donati alla scienza dopo il loro utilizzo per scopi didattici. Uno dei personaggi più famosi ad aver scelto questa tecnica è stato il premio Nobel Desmond Tutu, fermo attivista per l’ambiente, che con questa dichiarazione pubblica ha dato molta visibilità all’acquamazione.

In Italia la strada per l’approvazione di metodi così alternativi è ancora lunga, ma è giusto cominciare a riflettere su come affrontare le sfide che il futuro ci metterà davanti in materia di sostenibilità ambientale.
 
Tanja Pinzauti

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