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Un guerriero si è inoltrato lungo il sentiero del sole

Un guerriero con molti cavalli si è inoltrato lungo il sentiero del sole. Ora egli vive su una ridente spiaggia erbosa.
Questo canto della morte della tribù dei Piedi Neri, così simile ad una poesia, esprime la fierezza e la dignità che, così come l’intero popolo degli indiani d’America, essi hanno nell’affrontare anche il momento finale della vita. Tale atteggiamento è uno dei tratti caratteristici delle centinaia di tribù pellerossa, ciascuna differente per tradizioni, per riti, per aspetto fisico, ma tutte con un profondo rispetto per la natura e per l’uomo, nonché per i diversi momenti che scandiscono il ciclo vitale fra i quali rientra anche la morte.
Le usanze funerarie, che variano in questo caso a seconda delle zone geografiche oltre che in base allo stile di vita (cacciatori nomadi od agricoltori), nella loro semplicità manifestano l’intento di preservare l’equilibrio naturale. Per entrare nella loro cultura ci vuole una guida, ma a differenza di Redford-Jeremiah Johnson di “Corvo Rosso non avrai il mio scalpo” non gli chiederemo di infrangere i tabù della tribù dei Corvi, attraversando l’area cimiteriale. Domenico Buffarini, che negli anni ’70 ha vissuto per lungo tempo presso villaggi degli indiani d’America, ci conduce con uno sguardo rispettoso alla conoscenza degli usi funerari dei pellerossa, in particolare quelli dei cacciatori nomadi delle pianure, di cui fanno parte, ad esempio, proprio i Piedi Neri e i Corvi.
In tutta l’area del Nord America, che va dalle grandi pianure fino all’oceano glaciale artico, non è possibile il seppellimento dei defunti poiché durante l’inverno il terreno gela e non consente di poter scavare fosse. Per questo motivo il cadavere viene esposto, a cielo aperto, su una piattaforma in legno. Tale usanza, “imposta” dalle condizioni climatiche, in realtà permette così all’uomo di mantenere l’equilibrio naturale. I cacciatori nomadi delle pianure nutrono estremo rispetto per gli animali che uccidono, dal momento che anche quest’ultimi sono creati da Dio e, come gli uomini, fanno parte dell’eterna ruota della vita e della morte dove nulla si crea e nulla si distrugge. Se allo spirito dell’animale, che continua a vivere dopo l’uccisione, il cacciatore chiede perdono per la morte procurata, è nel momento in cui lo stesso cacciatore o i suoi cari muoiono che la carne mangiata rientra nel circolo vitale, ponendo rimedio all’offesa arrecata in precedenza. I cadaveri posti sopra la piattaforma divengono cibo per gli uccelli e, al contempo, i liquidi corporei che scendono lungo i pali rendono fertile il terreno. L’erba, che lì cresce rigogliosa, alimenta cerbiatti ed alci, i piccoli degli animali che erano stati preda e nutrimento dei cacciatori. Ciò che è stato ucciso viene restituito attraverso il corpo che si disfa.
Presenta, invece, una matrice comune con popolazioni delle foreste boreali di altri continenti il costume funerario delle tribù delle foreste nordiche dove non ci sono grandi distese, ma la cui economia è basata comunque sulla caccia nomade. La concezione dell’uomo, condivisa da tutti gli indiani del Canada dai grandi laghi fino alle montagne rocciose, si basa su di una triplice composizione: il corpo (in greco tò soma), lo spirito individuale (ossia l’anima), e lo spirito vitale (ciò che rende vivo, una entità impersonale). Quest’ultimo è lo spettro, che può essere pericoloso nel caso si tratti di una persona malvagia in quanto può rimanere nei boschi e nuocere ai vivi. È per esorcizzare l’eventuale spettro del malvagio - unitamente alla difficoltà di scavare il terreno nei mesi freddi e non poter quindi ricorrere all’inumazione – che i cadaveri vengono lasciati nel wigwam (capanna ricoperta di corteccia) oppure nella canoa (come i Vichinghi, anche se non si sa quale dei popoli sia stato fra i due ad influenzare l’altro) e vengono bruciati. Una curiosità: questa concezione dello spettro malvagio che si aggira nelle foreste e può recare danno ai vivi viene condivisa dagli indiani delle foreste boreali con le popolazioni europee ed asiatiche che vivono alle stesse latitudini. A questo motivo si deve la festa di Halloween, per rabbonire gli spiriti con i dolcetti.
Hanno usanze internazionali, invece, le tribù che vivono nella fascia costiera del Pacifico (dall’Alaska fino al fiume Columbia e l’isola di Vancouver). Queste popolazioni, che con gli indiani del Nord America hanno poco da spartire, sono fortemente influenzate dalla cultura dei polinesiani che quasi certamente sono arrivati fino a lì. I costumi funerari, quindi, sono molto simili a quelli dei Maori: si ritrovano qui il seppellimento dei cadaveri nella casa dei morti o nel palo totemico, un palo araldico. L’assimilazione della tradizione del palo totemico da parte degli indiani è possibile perché in tale area vi è abbondanza di alberi di cedro, utilizzati appunto per questa tipologia di sepoltura.

Tutt’altra storia è, invece, quella delle tradizioni delle popolazioni di agricoltori. Le analizzeremo nei prossimi mesi.
 
Francesca De Munari


Un ringraziamento particolare va, per le testimonianze rese, a Domenico Buffarini, attualmente rappresentante legale dell’Associazione dei Musulmani Italiani, che ha vissuto per lunghi periodi presso tribù degli indiani d’America, in particolar modo presso gli Apache, gli Irokesi e i Cheyenne.
fdm


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