- n. 4 - Maggio/Giugno 2020
- Psicologia
Il funerale negato
Morire ai tempi del coronavirus ha determinato la cancellazione dei riti che accompagnano l’evento luttuoso, necessari per il superamento del trauma della perdita. Una serie di consigli per aiutare a far fronte a questa mancanza.
“Nonna Maria è morta sola, senza nessuno che abbia potuto tenerle la mano, senza alcun conforto, senza un po’ di calore intorno. Immagino la sofferenza per non avere avuto vicino la sua famiglia. Noi sempre così assiduamente presenti nella sua vita non abbiamo potuto accompagnarla nel suo ultimo viaggio. Si sarà sentita abbandonata, chissà se avrà capito che non potevano starle accanto! Eravamo qui a casa impotenti, a farci mille domande ad immaginare la sua paura a cercare di consolarla con il pensiero. E quando se n’è andata è diventata un numero, una delle tante vittime di quel 27 marzo 2020. Nonna Maria non era solo l’anziana signora di 87 anni afflitta da diabete e ipertensione, era una parte fondamentale della mia vita, la persona con cui ho passato tutti i pomeriggi della mia infanzia quando i genitori erano al lavoro, che mi confezionava meravigliosi maglioni che le amiche mi invidiavano, che mi ha insegnato a fare la pasta a mano, che mi è stata vicina nelle mie prime pene d’amore… Non abbiamo potuto vedere nemmeno la sua salma, scegliere il vestito per il suo riposo eterno, mettere un fiore o recitare una preghiera sulla sua bara, perché le è stato negato anche il funerale. Siamo sconfortati non riusciamo a farcene una ragione”.
È una delle tante testimonianze, tutte tragicamente molto simili tra loro, che abbiamo sentito in questi giorni e che ci fanno capire che
coloro che hanno perso un proprio caro a causa del coronavirus si sono trovati di fronte ad un evento traumatico che va ben oltre al dolore della perdita. La pandemia ha determinato decessi improvvisi ed inaspettati aggravati dalla
separazione forzata durante il periodo della malattia (con conseguenti inconsci sensi di colpa), dalla
privazione di un ultimo saluto e di un corpo su cui piangere. A tutto ciò si aggiunga la
negazione della celebrazione delle esequie e l’impossibilità di accompagnare la salma al luogo di sepoltura o cremazione. E come se non bastasse bisogna inoltre rilevare che in molti casi questa sofferenza è stata vissuta nella solitudine della propria casa, senza il conforto di amici e parenti.
Orbene, questo stato di cose del tutto innaturale ed estraneo alla condizione umana, preoccupa molto gli psicologi consapevoli dell’impatto devastante nel processo di elaborazione del lutto con possibili conseguenze sulla salute mentale dei soggetti colpiti.
A queste persone è mancata una ritualità essenziale, la condivisione del dolore e del ricordo con gli altri. Anche se nella società moderna, a forte impronta individualista, non c’è più lo spazio per quelle manifestazioni complesse che in passato potevano durare più giorni coinvolgendo l’intera collettività, la ritualità legata alla morte non è mai venuta meno.
Ma che cos’è il rito e perché è importante? Si definisce rito il complesso di norme che regola lo svolgimento di un'azione sacrale (Treccani). Il rito segna spesso le fasi di passaggio proprie dell’esistenza umana, come quelle, presenti in molte culture, legate alla pubertà quando dall’infanzia si raggiunge l’età adulta, oppure al matrimonio, che segna la costituzione di un nuovo nucleo familiare. La morte è per tutte le religioni e le credenze umane in genere, il momento di passaggio per eccellenza, quando liberandosi dal corpo l’essere passa dalla dimensione terrena ad una sovrumana, da uno stato fisico ad uno spirituale. Il rito funebre riveste molteplici funzioni: per i credenti ha innanzitutto un imprescindibile valore salvifico, ma ha anche l’importante scopo di onorare il defunto. Va poi evidenziata la componente sociale poiché permette di fondare o di rinsaldare i legami interni alla comunità. Praticare la ritualità ha anche un aspetto consolatorio, aiuta ad accettare la perdita e a curare le ferite del lutto, è un processo catartico, un modo per supere un’esperienza traumatica.
Com’è noto,
da un punto di vista psicologico l’elaborazione del lutto è stata da tempo codificata in 5 fasi (1. Negazione, 2. Rabbia, 3. Contrattazione e patteggiamento 4. Depressione 5. Accettazione). Proprio in virtù del fatto di non avere portato a compimento le azioni rituali necessarie, gli studiosi stimano che
i sopravvissuti potrebbero rimanere imprigionati nella prima fase, quella della negazione e non evolvere verso lo stato di accettazione.
Si moltiplicano pertanto in questo periodo le iniziative degli psicologi per supportare le persone colpite da questo evento improvviso e violento. Lo fanno istituendo osservatori ad hoc, gruppi di ascolto e cercando di sensibilizzare anche le istituzioni su questa problematica, che, anche se apparentemente meno visibile, non è certo da sottovalutare.
Nicole Adami e
Rossella Dartizio, due professioniste che operano in una delle zone più colpite del Paese,
si sono rivolte alle amministrazioni pubbliche per promuovere iniziative di lutto collettivo con rituali laici o benedizioni ai defunti scanditi dal suono di campane a lutto, accompagnati da momenti di suffragio online da parte dei parroci.
Non mancano strategie e suggerimenti per aiutare i dolenti a colmare questi pericolosi
gap. Vi è già una fitta letteratura sull’argomento; a titolo esemplificativo riassumiamo alcuni punti trattati da un articolo pubblicato nel sito dell’
Associazione Maria Bianchi per sostegno al lutto scritto da
Nicola Ferrari, psicologo con un master nell’
Assistenza psicologica nelle situazioni di lutto naturale e traumatico. Dopo aver esaminato le dinamiche del lutto da coronavirus, Nicola Ferrari,
punta sulla necessità di “creare le condizioni affinché lo strazio di questo lutto soffocato possa respirare a pieni polmoni”. Come attuare questo processo? Le possibilità sono molteplici, tutte attuabili nell’ambito della propria abitazione. Eccone alcune:
- Condividere l’esperienza dolosa con i propri conoscenti, anche tramite i social network;
- individuare un tempo preciso durante la giornata, anche breve, da dedicare a chi abbiamo perso. Un momento specifico preparato e atteso che definisca una pausa nella quotidianità e che al contempo sottolinei l’esclusività di questi istanti di intimità;
- allestire lo spazio da dedicare al ricordo. Non c’è bisogno di nulla di complesso, può essere sufficiente una candela, una luce particolare, la disposizione di oggetti che rivestono un certo significato.. servono comunque segni che rendano questo luogo unico, dedicato e rispettoso.
- narrare quello che si prova. Si può farlo ad alta voce o in forma scritta con lettere e messaggi da condividere o da custodire per sé. Esplicitare il dolore, farlo emergere, dettagliarlo, permettere che la sofferenza interna acquisisca forma perché ciò di cui si prende coscienza può essere affrontato;
- mantenere viva la memoria ricordando l’intera sua vita del nostro caro. È importante non focalizzarsi solo l’ultimo periodo di malattia: chi abbiamo perso ha il diritto di essere ricordato per tutto ciò che è stato e che ha fatto. Ripensarlo quindi nella sua piena personalità, ripercorrendo le sue passioni e i momenti indimenticabili. Se possibile recuperare fotografie o oggetti che gli sono appartenuti: l’impatto è spesso molto coinvolgente e crea una immediata vicinanza e senso di appartenenza fra tutti i presenti;
- creare rituali, anche semplici, per salutare e ringraziare il defunto. Si può farlo con l’accensione di una candela, l’omaggio di un fiore, l’ascolto di un certo brano musicale, la lettura di una poesia, la libera espressione di ognuno con una frase, la ripetizione di un gesto particolare che lo caratterizzava…
- progettare il futuro. Pensare alle varie incombenze pratiche, che normalmente seguono la morte di un congiunto, che si dovranno e si potranno fare una volta finito il periodo di emergenza (questioni burocratiche ed ereditarie, l’organizzazione di un eventuale funerale postumo, la sistemazione della sepoltura...) Tutto ciò rappresenta da un lato una modalità per ‘continuare’ la vita e dall’altro la testimonianza concreta dell’amore per chi abbiamo perso prendendoci cura di tutte le conseguenze.
Questi consigli sono stati studiati tenendo conto del periodo di quarantena obbligata in cui si sono trovate le famiglie che hanno subìto un lutto per coronavirus e quindi non sono state considerate azioni che potessero prevedere situazioni al di fuori dalle mura domestiche, come, ad esempio, recarsi in luoghi sacri o importanti per la persona scomparsa.
Sono comunque indicazioni a cui ci si può riferire anche in contesti “di normalità” e ci auguriamo che possano rappresentare un valido aiuto anche per gli operatori funerari nel momento in cui si devono relazionare con persone che hanno bisogno di quel supporto in più per uscire da una situazione di profonda crisi. (Per visionare l’articolo completo del dott. Nicola Ferrari
clicca qui)
Raffaella Segantin