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Edgar di Giacomo Puccini

Un finto funerale

"Corteggio funebre, cioè: Fanciulli, Soldati, Popolo, ... ; alcuni soldati portano a spalle una barella [una bara] su cui sta un cavaliere morto, in perfetta armatura; sulla barella e sul cadavere: fiori e rami d'alloro". Così recita la didascalia all'inizio della scena cruciale di un'opera di Puccini, Edgar. Può capitare, nel teatro d'opera, di vedere delle esequie in scena, però qui abbiamo un cofano funebre al centro dell'azione nel bel mezzo del palco per un tempo lunghissimo; e le cose andranno a finire molto diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare... Ma andiamo per ordine.
Si tratta appunto di un episodio dell'opera giovanile (1899), la seconda composta da Giacomo Puccini, che può considerarsi l'unico mancato successo nella strepitosa carriera del Maestro lucchese. Egli stesso, molti anni dopo, scrisse all'amica Sybil Seligman: «E Dio ti guardi da quest'opera»; eppure parecchio di buono doveva trovarci, se ne approntò ben due altre versioni, l'ultima delle quali fu presentata nel 1905 a Buenos Aires. Ottima quindi l'iniziativa del Teatro Regio di Torino di riproporre il lavoro pucciniano, andando per di più a ricostruire, grazie anche ad un recente inaspettato ritrovamento della partitura manoscritta, la primissima versione in quattro atti, poi scomparsa dalle scene.
Il largo interesse suscitato nella critica dall'allestimento torinese non ha cancellato del tutto le riserve sull'opera che vertono anzitutto su quella che viene considerata l'eccessiva bizzarria, per non dire assurdità, del libretto, e che si appuntano in particolare (ma non solo) proprio sulla scena del funerale.
La vicenda, ambientata in epoca medievale, vede il protagonista abbandonare l'amore della purissima Fidelia a favore della sfrontata e sensuale cortigiana Tigrana, con la quale fugge dopo aver bruciato la casa paterna. Stufo però e pentito delle orge in cui sguazza con l'amante (che ormai in realtà disprezza), va a combattere per la Patria e muore eroicamente. Qui si colloca appunto la scena del funerale, con tanto di elogio funebre, interrotto dagli interventi di un misterioso frate dal volto celato dal cappuccio, che ricorda o rivela ai finora commossi astanti eccessi e colpe del defunto. "Ai corvi il suo cadavere! - sbraitano ora Soldati e Popolo - colle destre tese verso il catafalco in atto d'imprecazione", e per di più "fanno atto di smaniarsi verso il catafalco per strapparne il cadavere". Quando l'immacolata Fidelia, benché abbandonata, difende la memoria dell'uomo amato (in una pagina musicalmente fra le più riuscite dell'opera) ed esige il rispetto del suo cadavere, il frate accusatore si commuove. Cosa sta accadendo?
Il frate con il volto celato altri non è se non Edgar, vivo e vegeto, che si è dato per morto ed ha organizzato il suo finto funerale, allo scopo di denunciare e di liberarsi dal proprio passato e soprattutto di smascherare l'immonda Tigrana. Quando infatti essa giunge al funerale per esibire una fasulla afflizione (ma in ritardo: "Finite son le esequie... Nessun vedrà il mio lutto!" - commenta infatti) l'ex amante travestito le si accosta, insieme ad un altro personaggio partecipe del piano. "Bella signora, il morto esser vorrei, / Ché il vostro lutto avrei, - dama gentil!", le dice costui, e insieme le offrono una splendida collana di gemme in cambio di una pubblica denuncia (falsa ovviamente) del presunto defunto Edgar come traditore. La spregiudicata maliarda acconsente, e si scatena di nuovo la furia degli astanti contro il cadavere: Soldati e Popolo si gettano sulla bara, la aprono e la rovesciano e, sbalorditi, ne vedono uscire solo i pezzi vuoti di un'armatura. Il finto funerale si rivela come tale, Edgar si scopre il capo, l'abbietta meretrice è esecrata da tutti.
È la scena cruciale del dramma, cui segue lo scioglimento in cui l'idilliaco ricongiungimento tra Edgar e Fidelia è troncato dalla furia vendicativa della perversa Tigrana, che pugnala a morte la fanciulla, per poi essere catturata e condotta "alla mannaia", come esige il grido unanime della folla che chiude l'opera.
L'allestimento torinese ha visto come protagonista il celebre tenore argentino José Cura, molto apprezzato da ammiratori (e ammiratrici), mentre altri avanzano riserve sull'emissione nel registro acuto; buona la prova del soprano Amarilli Nizza (Fidelia) e del mezzosoprano Julia Gertseva, così come quella dei complessi del regio ben diretti da Yoram David; valide la regia e la scenografia di Lorenzo Mariani e di Maurizio Balò.
Riserve sulla validità complessiva del lavoro giovanile pucciniano possono effettivamente sussistere, come dicevamo; ma certo non mancano le pagine che fanno chiaramente sentire la mano del musicista che di lì a poco avrebbe conquistato il mondo col primo capolavoro, Manon Lescaut; il bel Requiem con cui inizia la tanto discussa scena del finto funerale lo è, e non sarà un caso se nel 1924 Arturo Toscanini scelse proprio quel brano, già allora dimenticato da molti, per accompagnare le spoglie mortali di Giacomo Puccini nel loro ultimo viaggio.
 
Franco Bergamasco

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