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Se, finalmente, la morte diventa naturale

È stato tradotto in italiano un libro dello svedese Carl-Henning Wijkmark (La morte moderna, Iperborea, 2008) che illustra con efficacia e con ironia cosa può accadere se trionfa definitivamente nella mentalità contemporanea l’idea che la morte sia un “fatto naturale”. Se morire corrisponde alle leggi di Natura, non è più qualcosa di pauroso e di negativo come è stato per secoli e potrà essere trattato alla stregua di qualunque altro fatto materiale: soprattutto potrà essere programmato in modo che avvenga al momento giusto e potrà essere inserito nel “ciclo produttivo” in modo che serva al progresso della Civiltà Umana.
Wijkmark presenta la tesi facendo parlare i partecipanti ad un convegno, vera situazione “drammatica” contemporanea. Si tratta di un convegno a porte chiuse, in un ufficio ministeriale svedese, sul tema La fase terminale della vita umana, organizzato con l’obiettivo di discutere un progetto che si articola in due stadi i cui contenuti e le cui motivazioni sono pressappoco riassumibili come qui di seguito vi esporremo.
Siamo in troppi e sempre più vecchi, con la conseguenza che diventa insostenibile economicamente assistere tutti, e non sarebbe giusto perché si sacrificherebbero i giovani e sarebbe comunque una cosa da ricchi: “Dobbiamo affrontare apertamente il terribile dilemma”, sostiene un economista svedese, “che comporta la scelta tra consentire a nostro nonno la possibilità di sopravvivere un mese in più, o, per la stessa cifra, a una decina di bambini di un paese povero di vivere una vita intera” (pagina 31). Abbiamo bisogno perciò che la vita dei vecchi non venga prolungata inutilmente, convincendoli a considerare “giusto” che muoiano non oltre una certa età (70-75 anni) valutando ciò come un fatto naturale e corrispondente ad un valore sociale, cioè ad un comportamento altruistico. In altri termini, si dovrebbe fare arrivare agli anziani il seguente messaggio: “Tu hai avuto la tua vita, hai fatto la tua parte, e noi speriamo che tu sia soddisfatto. In ogni caso ti ringraziamo. E se tu, da parte tua, volessi ringraziare la società per quello che ha fatto per te, sai senz’altro che cosa puoi fare. No? Andiamo, su. Proprio quello. È solo come addormentarsi dopo una lunga giornata di lavoro. Chiama la direzione della Sanità e Affari sociali e chiedi del Servizio anziani. Ti aspettiamo. Sei il benvenuto. Non aspettare troppo” (pagina 43).
Una volta realizzata questa “altruistica” mentalità e aumentato utilmente il numero dei morti diminuendo utilmente quello dei vecchi da assistere, si potrebbe passare alla fase B: il riciclaggio completo dei cadaveri, “non solo a vantaggio degli istituti di anatomia, ma per un campo più vasto di ricerca e di sfruttamento industriale”(pagina 91). Si dovrebbe superare la resistenza all’autopsia, ma con il progredire della cremazione la mentalità sta cambiando. Si risparmierebbe così anche sulle tombe, ma si dovrebbe proibire in questa ottica che qualcuno volesse espatriare prima di morire per farsi fare una tomba all’estero: “La fuga dei cadaveri all’estero deve dunque essere impedita ed esige misure restrittive. In particolare si dovrebbe pensare al ritiro del passaporto ai malati e agli individui di età avanzata… Può sembrare un dettaglio di secondaria importanza, ma dal punto di vista della solidarietà sociale la fuga dei cadaveri è comunque un problema serio. Non è solo un comportamento ingrato nei confronti della società e sleale verso di noi, da un punto di vista psicologico, ma è anche un valore reale che l’individuo sottrae così alla collettività. Per questo le misure di controllo saranno di sicuro accettate dalla grande maggioranza”(pagine 110-111).
A tutto questo si oppone nel convegno il solito utopista che continua a considerare il valore della vita umana non calcolabile economicamente e quindi non subordinabile alle leggi dell’economia. Ma la sua posizione appare debole, visto che non sa opporre alla concezione della morte naturale altro che un ritorno agli antichi a cui non importava morire giovani perché godevano pienamente la vita. Come dire che la vera morte naturale non è quella programmata, alla fine di un ciclo vitale la cui durata e la cui qualità dipende dall’uomo che conoscendo a fondo la Natura la influenza e la migliora con le proprie tecnologie, ma morire con un bicchiere in mano o più in generale nella “pienezza del godimento” quando arriva la propria ora.
Si può concludere che l’impossibilità dell’uomo moderno di rinunciare al controllo scientifico e tecnologico della Natura che l'ha resa più benigna produce una concezione della morte come naturale, nel senso di umanamente manipolabile, con una conseguenza aberrante: l’individuo viene “espropriato della propria morte” per scopi sociali e sarà costretto prima o dopo a ribellarsi alle altrettanto aberranti conseguenze rappresentate nel romanzo di Wijkmark. Ma potrà farlo senza cadere in un altro circolo vizioso della storia (che, cioè, le rivolte non cambiano niente) se includerà nella società anche i morti e i non ancora nati, potendo così ritenere ben spese le risorse a favore di coloro che fra poco non ci saranno più o di coloro che devono ancora nascere.
 
Francesco Campione

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