- n. 12 - Dicembre 2007
- Psicologia
Siamo faraoni
Un interessante articolo dell'inserto domenicale de
Il Sole 24 ore del 4 novembre scorso descrive i cambiamenti dei costumi funerari in atto in Germania. C'è chi offre inumazioni nelle foreste (
www.friedw.de), chi si rivolge al mercato omosessuale commercializzando casse da morto colorate, chi propone di spargere le ceneri in cielo utilizzando un volo low-cost in mongolfiera o mettendo l'urna cineraria su un razzo da far esplodere a trecento metri da terra. Tutto ciò sembra confermare l'idea del Sociologo francese
Maffesoli per il quale funerali e rituali funerari sono ormai oggetto di un "bricolage" basato sulla libertà di proporre soluzioni per tutti i gusti.
La proposta più interessante di cui si riferisce nell'articolo, alludendo ad una forma di "democrazia funeraria", è quella del "
Club amici della grande Piramide" (
www.thegreatpyramid.org). L'idea è questa: il più imponente monumento funebre della storia sono le Piramidi egizie; ogni piramide è la tomba di un faraone; perché non democratizzare le piramidi rendendole accessibili a tutti?
Realizzare una piramide in cui tutti "
siamo faraoni" è possibile ed è semplice, secondo gli ideatori. Basterà far mettere le proprie ceneri, invece che in un'urna, in un blocco di cemento di cm. 90x60x60, colorarlo o illustrarlo a piacere e assemblarlo insieme ad altri simili fino a costruire una piramide variopinta che in venti o trenta anni raggiunga una altezza di 150 metri, con 5 milioni di blocchi, o di 600 metri se le urne saranno di più. Si costruirebbe così il monumento funerario più imponente della storia umana, superando al contempo l'individualismo della sepoltura che, anche nella tomba, allude alle diversità sociali, alle separazioni e ai contrasti tra gli uomini: verrebbe così edificato un monumento che potrebbe diventare un potente simbolo di pace dato che, almeno da morti, tutti riposerebbero insieme al di là delle differenze di età, di genere, di ceto, di razza, di religione.
È già stato indetto un concorso per il progetto della
grande piramide (con tanto di giuria formata da fior di architetti) e le uniche obiezioni sono rappresentate dall'ingombro che una tale piramide rappresenterebbe in qualunque territorio urbano e l'impossibilità di accogliervi le ceneri di quelli che qualcuno ha chiamato "
i nemici dell'Umanità" (richiesto di dire se potrebbero essere ospitate nella piramide i membri del Ku Klux Klan uno dei promotori ha risposto: "
Direi di no, perché sono posizioni di minoranza volte più a dividere che a unire gli uomini. Ma, d'altro canto, la Grande Piramide è proprio per tutti. Tutti assieme dobbiamo trovare la risposta. Noi promotori desideriamo solo la pace").
Riflettiamo.
La differenza che sembra esserci tra un colombario classico o un cimitero tradizionale e questa grande piramide è solo "spaziale": invece che tanti colombari in tanti luoghi o in tanti cimiteri, un colombario enorme in un solo sito. Non vi sembra somigliare alla tendenza abitativa dei vivi oggi dominante, una concentrazione in enormi aree urbane o in enormi edifici sviluppati in altezza? Sarebbe un memoriale molto più funzionale di tanti altri, un grattacielo dei morti invece che dei vivi. Ma non risolverebbe affatto, anzi forse aggraverebbe, il problema di tutti i memoriali collettivi: la "
serialità" che annulla le differenze tra un morto e l'altro (milioni di blocchi di cemento in cosa differiscono da milioni di croci?). Si dirà che ogni blocco potrebbe essere personalizzato, ma non accade così per ogni tomba e non può accadere così per ogni urna funeraria in qualunque posto la si depositi accanto ad altre urne?
La piramide ci farebbe sentire tutti faraoni, ma in che senso? La piramide per il faraone era la sua dimora nel regno dei morti, un regno in cui egli si credeva "vivo" in un altro senso. Non credo che avere le proprie ceneri murate in un blocco di cemento significherebbe sentirsi ancora in qualche modo "vivi" e con gli altri morti-vivi. Saremmo veramente faraoni se come i faraoni fossimo Dei e se avessimo un'altra vita dopo la morte. L'unica possibilità di sentirsi faraoni essendo parte di una piramide resterebbe affidata così alla monumentalità simbolica della stessa in quanto "monumento eterno", in grado di sfidare il tempo lasciando un segno di ciascun individuo murato in ciascun blocco. Ma si può resuscitare una eternità monumentale in un tempo in cui si tende a non credere più in alcuna eternità e ci si dedica alla propria vita disinteressandosi della morte o si cerca di rendere eterna la vita terrena continuando a farla restare tale?
Quanto poi al dimostrarsi un simbolo di "pacificazione" delle differenze tra gli uomini facendoli riposare tutti insieme democraticamente, in questo la grande piramide mostra i suoi maggiori e più evidenti limiti. Essa infatti, lungi dal poter rappresentare la pace tra tutti gli uomini vivi, rappresenterebbe molto bene la pace che si consegue tra gli uomini solo dopo che sono morti. Un simbolo "vero" di questa pace dovrebbe lasciare i morti un po' vivi per essere veramente tale: può accettare un uomo che è stato sempre in guerra con gli altri di fare la pace con essi dovendo pagare prima il prezzo della morte? Tutti i monumenti, in tutte le epoche che li hanno considerati simboli di eternità e di pace tra gli uomini, hanno pagato questo prezzo. Per questo motivo la monumentalità è entrata in crisi come simbolo di eternità e di pace ed è diventata a sua volta simbolo di morte.
Un simbolo del genere sarebbe possibile solo se ciò che resta dei morti è, per i vivi, eterno richiamo alla responsabilità di "sostituirli" nella vita che non possono più vivere; se nei vivi vi è qualcosa di chi è morto che essi non possono ricondurre alla propria vita; se li "ospitano" nella propria vita vivendo per loro e facendo sì che non muoiano del tutto. In altri termini, è la vita dei morti che ci è affidata e non i loro resti: ecco perché nessun trattamento di questi resti (neanche la collocazione dentro una grande e forse imperitura piramide) può pacificare l'ingiustizia che hanno subito quando la morte, spregiando il loro desiderio, se li è portati via. In tutte le epoche i funerali e il trattamento dei cadaveri sono tentativi mai del tutto riusciti di "rappresentare" l'irrappresentabile: il debito inestinguibile che abbiamo con i nostri morti per essere responsabili, in quanto sopravvissuti, della loro morte e della loro vita.
Francesco Campione