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I segreti dei megaliti funebri

Storia, tradizione e mistero delle enormi stele di pietra ritrovate dagli archeologi in Etiopia.

È ben nota la ricchezza storica dell’Etiopia che vanta un grande patrimonio archeologico, basti pensare che il primo Australopithecus Afarensis, la famosa Lucy, è stata ritrovata proprio in queste terre.

E qui si trovano anche numerosissimi monumenti dell’arte megalitica così come la conosciamo in Europa come il cerchio di pietre di Stonehenge nel Regno Unito e le file di menhir di Carnac in Francia, databili nell’epoca megalitica che nel vecchio continente ebbe inizio 7.000 anni fa e che durò circa 4.000 anni.
L’Etiopia è indubbiamente il Paese delle stele, tradizione architettonica che caratterizza il territorio e che influenza anche le culture odierne.
Tra i più famosi siti che avvalorano tale affermazione non si può non menzionare la città di Axum che tra la fine del primo millennio a.C. e l’VIII secolo d.C. fu capitale di un regno che includeva quasi tutta l’attuale Etiopia. Gli studiosi ipotizzano che la città abbia subito prima le influenze degli obelischi dell’antico Egitto e che poi, con l’arrivo del cristianesimo, queste sculture siano passate a dimensioni maggiori.
La stele di Axum è infatti la più grande pietra verticale mai realizzata. Eretta intorno al II secolo d.C. con una lunghezza di 33 metri è purtroppo crollata nel tempo, rompendosi in diversi pezzi. Sono però rimasti numerosi altri esemplari di queste stele ed in ogni caso è un mistero come pietre così pesanti (si stima un peso superiore alle 500 tonnellate) siano state trasportante ed erette. Forse grazie all’aiuto di elefanti, numerosi in quel tempo.

Ma il vero mistero che aleggia intorno all’architettura delle stele, è quello che riguarda il sud del Paese, zona dove se ne contano più di 10.000. Le popolazioni locali potrebbero aiutare a far luce su questo mistero dato che, ancora oggi, viene mantenuta intatta la tradizione di erigere monoliti per onorare i defunti.

Gli scavi

Il sito archeologico più studiato in quell'area è quello di Tuto Fela, nella zona del Gedeo, a circa 400km dalla capitale Addis Abeba. Qui il terreno è ricoperto da centinaia di stele, alcune dalla forma fallica, altre antropomorfe. Queste sculture vennero già notate negli anni ’20, ma solo più tardi si scoprì la presenza di tombe sotto le pietre. Non si tratta di semplici tombe in realtà, ma di un vero e proprio tumulo sepolcrale che contiene diversi cimiteri uno sopra l’altro.

Dai reperti ritrovati si è potuto dedurre che la pietra sulla tomba fosse un privilegio riservato ai defunti più importanti nella comunità. Gli scavi hanno evidenziato che il cimitero sorge su un altro luogo di sepoltura, evidentemente più vecchio, e con caratteristiche molto diverse.
Nelle tombe del livello superiore, sono stati trovati i resti di più
individui nella stessa tomba. Tutt’altro trattamento veniva invece riservato ai defunti sepolti nel cimitero più profondo dove sul lato della fossa veniva scavata una sorta di cella laterale, da qui la scelta dei ricercatori di soprannominare questa tipologia di sepoltura “tomba a calzino”, per la forma che ricorda appunto quella di un calzino. In queste, c’era sempre un solo individuo con il corpo ripiegato su un lato in posizione fetale e in pessimo stato di conservazione a causa dell’acidità del terreno che ha rimosso ogni traccia organica dai corpi, problematica questa tipica delle zone sub-tropicali. Non avendo resti umani utilizzabili, gli archeologi hanno dovuto ricorrere ai frammenti di carbone e legno presenti per datare il primo cimitero tra il 1050 e il 1250 d.C. e il secondo tra il XIII e il XV secolo d.C. I resti trovati fino ad ora sono conservati nel Museo Nazionale nella capitale Addis Abeba.

Le ricerche rivelano il susseguirsi di 3 fasi ben distinte tra loro.
Nel primo periodo il cimitero era adornato dalle sole stele, nel secondo le stele venivano posizionate nelle tombe a calzino, mentre in un terzo momento le stele venivano riutilizzate, rimodellate e aggiunte al tumulo sepolcrale.

La regione del Gedeo, nonostante misuri appena 50km di lunghezza e 30 di larghezza, ospita una ricca concentrazione di colonne sepolcrali. Alcune antropomorfe, altre a forma fallica e meno elaborate. Nemmeno il materiale utilizzato è una costante poiché si sono ritrovate pietre di granito, rocce piroclastiche, rioliti di colata lavica e prismi grezzi.
Diversi scavi in tutta la regione hanno poi portato alla luce anche la presenza di frammenti di ceramica, resti probabilmente di manufatti e vasi votivi che venivano collocati nelle sepolture.

La decorazione delle pietre con figure umane sembra risalire al XIII e XIV secolo, probabilmente con l’arrivo del cristianesimo nella zona. Inoltre, sulle stele sono state trovate anche tracce di pittura, il che suggerisce che le pietre non venissero solo incise, ma anche colorate.

Una delle decorazioni ricorrenti, tuttora utilizzate dalle popolazioni locali, prevede diverse linee orizzontali e verticali a simboleggiare una pianta. Qualcosa di simile si trova ad esempio nel popolo dei Dinka, al confine tra l’Etiopia e il Sudan dove la popolazione colloca tale rappresentazione sopra l’ombelico, a raffigurare l’origine della vita.
Secondo altri studi invece, il simbolo rappresenterebbe i rami dell’Ensete, pianta conosciuta anche con il nome di falso banano, che per secoli ha sfamato milioni di persone nella zona. La pianta, infatti, tipica di questi territori, può essere usata in ogni sua parte, dalle radici alle foglie, agevolando così le popolazioni locali che non necessitavano dell’agricoltura per sopravvivere.

Studiando la cultura moderna della zona, ci si è accorti che la popolazione dei Gowda è una delle ultime ad aver conservato, quasi intatta, la tradizione megalitica in Africa. Grazie a loro, si può quindi dedurre come si svolgesse anche la cerimonia funebre dell’epoca.

Il rito oggi come allora

La cerimonia pare più che altro una festa, con canti e balli per celebrare la personalità del defunto e ha una durata di diversi giorni. Il primo giorno gli anziani del villaggio nascondono lontano una pietra di diverse centinaia di chili. Sarà compito dei più giovani, il secondo giorno, trovarla e trasportarla fino al luogo di sepoltura, come se fosse un vero e proprio trofeo di caccia. Si eregge quindi una prima stele sulla tomba, mentre il corpo viene riposto in una fossa in cui è presente una cella laterale, esattamente come avveniva nelle sepolture “a calzino” di Tuto Fela. In un secondo momento poi, viene posizionata un’ulteriore stele come monumento alla memoria del defunto.
Le colonne di pietra vengono poi decorate, passando sulle lastre le dita intinte di una polvere d’ocra mescolata ad una sorta di grasso per rendere la pittura resistente alle intemperie.

Questa tradizione sembra quindi avvalorare l’ipotesi degli scienziati che il rito delle steli sia rimasto intatto nei secoli, tramandato di generazione in generazione. Ad oggi sono molte le domande a cui dare risposta, misteri che sicuramente continueranno ad affascinare esperti e curiosi per molto tempo ancora.
 
Nicole Valeria Bisi

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