- n. 12 - Dicembre 2003
- Musica
È UN PERSONAGGIO IMPORTANTE?
SÌ, MA MUORE SUBITO
Eugenio Montale, che fu non solo il poeta che tutti conoscono, ma anche un eccellente prosatore, in uno dei brevi racconti radunati nella Farfalla di Dinard, narra l'ironica storia di un vecchio signore, appassionato cultore del bel canto. Egli per trentadue anni ogni mattina nella sua stanza da bagno, colla schiuma da barba sul viso, si era voltato a minacciare col pugno un immaginario palagio altero genovese, freddo sepolcro dell'angiolo mio, per poi attaccare un'aria, Il lacerato spirito del mesto genitore, che compiange una Maria resa al fulgor degli angeli, prima di "sprofondare nel conclusivo rantolo ultrabasso". Aspirava costui a pochi giorni di assoluta perfezione, per sbalordire tutti con un'unica, impeccabile esecuzione; ma la voce passò dal perfezionamento al deterioramento senza che lui avesse saputo cogliere l'attimo cruciale.
Montale sapeva benissimo di cosa parlava, perché lui stesso aveva avviato in gioventù studi di canto, da basso profondo (e si sa che fino agli ultimi anni amò esibirsi in privato in alcune arie del grande repertorio, e in particolare in quella menzionata nel racconto); la sua competenza in materia lo portò anzi a svolgere per diversi anni la funzione di critico musicale, operistico soprattutto, su un grande quotidiano.
Nulla di strano dunque se l'opera in questione, il Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi, suscitò – al pari di tante altre – la sua attenzione. Attenzione condivisa più tardi da molti, quando questo lavoro verdiano, nato nel 1857 ma largamente rifatto nel 1881, a lungo trascurato dal pubblico, tornò stabilmente in repertorio a partire dagli anni '70 del secolo scorso.
Ciò che vogliamo sottolineare in questa sede è la singolare situazione drammaturgica che caratterizza quella scena, e il significato che assume la morte di quel personaggio. Tutto è singolare, originale in queste scene iniziali del Simone: stiamo assistendo ad un lungo Prologo, la cui azione precede di un quarto di secolo quella del primo atto, e che per di più allude a cruciali antefatti avvenuti in un tempo ancor precedente; la Maria di cui si parla, al centro di quegli antefatti, è la donna amata dal protagonista dell'opera, Simone, e la figlia dell'antagonista, l'implacabile Fiesco, che la tiene rinchiusa nel suo palazzo. Di essa si parla, ma non la si vede mai, e prima che il Prologo si chiuda giunge la notizia della sua morte. Non ci addentreremo qui nella complessità dell'intreccio: rileviamo però che le vicende di questo personaggio virtuale, mai comparso in scena, morto in un certo senso prima di nascere, sono al centro, all'origine di quella catena di odii, rancori, malintesi, incomprensioni che come un nodo insolubile domina il destino dei protagonisti, tutta l'opera anzi, improntata al più profondo pessimismo. Vana sarà la speranza di scioglierli, l'aspirazione ad un futuro di pace e serenità.
Ogni letizia in terra / è menzognero incanto, / d'interminato pianto / fonte è l'umano cor: così canta Fiesco verso la fine dell'opera accompagnando, come in una marcia funebre, l'agonia di Simone; e la morte del protagonista nel finale viene a chiudere il tragico cerchio aperto poco dopo l'alzarsi del sipario dalla morte di quell'invisibile ma decisivo personaggio virtuale.
Franco Bergamasco