- n. 7/8 - Luglio/Agosto 2007
- Cimiteri d'Europa
Il cimitero di Valencia
Duecento anni di vita
Il
Cimitero Generale di
Valencia compie nel 2007 duecento anni di vita, una vita intensa e ricca di storia e di arte, che risulta difficile condensare in poche righe. Cercheremo comunque di offrire al lettore una rassegna del suo patrimonio artistico, che va dal neoclassicismo fino all'Art Decò.
Questo camposanto, il principale della città, fu inaugurato il
7 giugno 1807, vent'anni dopo l'emanazione da parte di Carlo III dell'editto reale nel quale venivano proibite le sepolture nelle abitazioni. Il progetto degli architetti
Manuel Blasco e
Cristóbal Sales era costituto da un rettangolo diviso da due viali perpendicolari e da una Cappella centrale. All'inizio i quattro lotti risultanti erano l'unico luogo disponibile per la sepoltura e qui, un anno dopo l'inaugurazione, l'architetto comunale Cristóbal Sales eresse il primo loculo che, ancor oggi, conserva le lapidi originarie. Con il passare degli anni, la scarsità dei loculi e la incessante domanda di terreni per i monumenti funebri resero necessario un ampliamento che oggi è l'orgoglio del camposanto: un grande lotto rettangolare di 15.000 mq, circondato nei suoi quattro lati da portici composti da 160 colonne monolitiche d'ordine dorico che sostengono un austero fregio. Questo gran patio monumentale accoglie cento sepolcri monumentali ed è una delle zone più preziose ed interessanti del camposanto.
Cominciamo dunque dall'inizio, dalla prima tomba eretta nel cimitero.
Nel 1845 uno dei più ricchi borghesi della città, che si occupava del commercio della seta, perse il figlio primogenito, suo unico erede,
Juan Bautista Romero Conchés, in onore del quale fu costruito il primo monumento funerario. Il mausoleo, disegnato nel 1846 dall'architetto
Sebastián Monleón in stile neoclassico, è intriso di simbologia in tutte le sue parti. Nella facciata le allegorie della Gioventù e della Speranza Perduta sono chine sopra al gran sarcofago in stile imperiale, mentre nei timpani del grande altare classico sono inseriti i più diversi simboli funerari, che alludono alla brevità della vita e alla speranza nella vita eterna. A questi elementi, opera dello scultore
Antonio Marzo, il poeta
Vicente Boix aggiunse un epitaffio: "
El amor paternal le preparaba un brillante porvenir y la esperanza y felicidad sonreían a sus padres por la vida de su hijo único bien amado. La providencia en sus altos juicios probó su virtud arrebatando al hijo en medio de su juventud. Consagrado a su memoria, este monumento conservará los restos del hijo y de los padres, por amor, por consuelo, por no separarse jamás". Nel grande obelisco campeggia una scritta in lettere di bronzo: "
Beati mortui qui in domino morivuntur". Nel progetto del sepolcro coesistono con grande equilibrio architettura, scultura, iconogafia e poesia.
Nel 1851, la morte prematura di una giovane appartenente alla borghesia valenciana,
Virgina Dotres Guix, motiva la costruzione del secondo monumento funerario del cimitero. Il panteon è la riproduzione in miniatura di un tempio greco di ordine dorico, composto da colonne che circondano il sarcofago decorato con motivi in rilievo. L'ordine architettonico qui impiegato (dorico con colonne scanalate) è l'unico esempio presente a Valencia fino alla fine del secolo, quando si costruì con il medesimo ordine di colonne il patio porticato nell'ampliamento del cimitero. L'importanza di quest'opera non consiste solamente nella sua innovazione: ogni pezzo del monumento è stato portato direttamente dall'Italia, ed è opera del famoso scultore genovese
Santo Varni.
Un bell'esempio di stile neogotico, il più diffuso dentro il camposanto, è il monumento funebre dedicato a
Bertrán de Lis, opera dell'architetto
Ramón María Ximénez, basato sulle lanterne funerarie medievali francesi. La base a pianta triangolare regge la struttura che ospita le allegorie delle tre virtù teologali: la Fede, la Speranza e la Carità.
D'ispirazione completamente diversa, il monumento della
famiglia Llovera, opera dell'architetto
Antonio Martorell (1883), è l'espressione del fascino esercitato nel XVIII secolo dalla cultura egizia.
Alla fine del secolo XIX la varietà stilistica si moltiplica: l'eclettismo arriva al suo punto culminante con le opere di
José Manuel Cortina, tra le quali va ricordato il gran panteon costruito per la
famiglia Monterde Tejada nel 1896, nel quale si scorge ciò che è stato definito "
medievalismo fantastico", ossia un linguaggio nuovo che raccoglie molti elementi eterogenei, come i simboli medievali, le illustrazioni delle narrazioni romantiche, il bestiario araldico e l'architettura gotica e orientale. Una volta slegato lo stile dai canoni e dalle regole fisse, il passo definitivo verso la contemporaneità lo dà il modernismo, uno stile libero tanto nella linea quanto nell'ispirazione. Il miglior esempio di questa tendenza, per la qualità tecnica ed estetica, lo troviamo nello straordinario e sensuale angelo di marmo di Carrara del monumento funebre della
famiglia Moroder, opera dello scultore
Mariano Benlliure.
Entrando nel nuovo secolo, si avverte un cambiamento significativo nella progettazione dei monumenti funebri: si preferiscono costruzioni di dimensioni contenute ma riccamente decorate con sculture alla moda.
Uno dei migliori artisti che incoraggiò questo cambiamento fu
Eugenio Carbonell Mir, formatosi all'Accademia di Belle Arti di San Carlos, ma influenzato dal Liberty e dal simbolismo italiano di fine secolo a causa del suo soggiorno presso l'Academia de España a Roma, dove conobbe, tra gli altri artisti,
Mariano Benlliure. Il linguaggio di Carbonell, accademico e sobrio, è sicuramente meno sensuale e più malinconico di quello di Benlliure, incontrò il gusto dell'alta società di inizio secolo e gli permise di ottenere la maggior parte delle più importanti committenze per quasi trent'anni, arrivando a firmare un centinaio di monumenti funebri. La grande influenza italiana presente nei suoi lavori si può apprezzare, per esempio, nel
panteon della
famiglia Suay, che si ispira alla tomba di Giuseppe Mazzini nel cimitero di Staglieno, opera di Gaetano Vittorio Grasso.
Nella stessa epoca lavorava anche lo scultore
Vicente Navarro Romero, altro artista valenciano che ha avuto la possibilità di studiare a Roma. Della sua produzione, a cavallo tra il Modernismo e l'Art Decò, è possibile ammirare nel cimitero grandi opere: il
panteon dedicato ad
Amparo Moragués e quello della
famiglia Giner. Il primo, di carattere decadente e simbolista, è formato da un gruppo di tre figure: una giovane, una figura inginocchiata vicino a questa e un angelo protettore al capezzale del letto. Questo è uno dei pochi casi nel cimitero in cui si rappresenta il defunto senza vita, tendenza che Franco Sborgi chiama "
guardare la morte", alludendo però al drammatismo macabro in opposizione alla malinconia romantica. Nella sua seconda opera, il monumento per la
famiglia Giner, si intravedono le linee Art Decò nell'angelo che invoca il silenzio per il riposo eterno e, sopra a questo, nelle due figure, quasi lineari, che suonano la tromba.
Negli anni '30 lo stile Art Decò si affina grazie a
Ricardo Boix, che sviluppa uno stile personale ben definito, basato sulla linea pura e astratta, su una composizione molto semplice e sulle rifiniture perfette, come dimostra il disegno per la tomba di
Vicente Crespo Carbonell nel quale due silhouette simmetriche si inchinano pregando sopra una stele sepolcrale.
Questa breve descrizione vuol essere una piccola vetrina del ricco patrimonio conservato nel
Cimitero Generale di
Valencia, il cui bicentenario è stato ricordato con il Primo Congresso Europeo dei Cimiteri Storici.
M. Jesus Blasco Sales