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In un mondo migliore

Dolore, violenza, perdono. Esiste davvero “un mondo migliore”?

In questo film ho voluto mostrare quanto poco tempo impiega un bambino a considerare qualcosa come profondamente ingiusto e ad agire di conseguenza. Interessante, ma allo stesso tempo spaventoso. Susanne Bier
La talentuosa regista danese Susanne Bier è stata la rivelazione degli Oscar 2011. Con "In un mondo migliore" ha conquistato la statuetta per la categoria “miglior film straniero”, discostandosi dai (ben più inquietanti) lavori dei connazionali Lars Von Trier e Thomas Vinterberg e lanciando il cinema danese anche all’estero.
La vicenda ruota attorno a due famiglie e a due storie parallele i cui destini però si intrecciano irreversibilmente. Anton (l’attore Mikael Persbrandt) è un medico in zona di guerra. Fa il pendolare tra i paesaggi idilliaci della campagna danese e un campo profughi del Darfur, in Sudan. La sua professione lo costringe ad entrare costantemente in contatto con due realtà che non potrebbero essere più diverse l’una dall’altra: da una parte la sicurezza e la tranquillità della sua casa, di sua moglie, del suo bambino; dall’altra l’atroce e sconvolgente crudeltà umana, che miete vittime innocenti e senza una ragione concreta. È chiaro che il trovarsi giornalmente così vicini alla morte, senza mediazione o limitazione alcuna, modifichi la percezione che si ha della vita stessa. L’essere consci del punto di non ritorno in cui l’animo umano può spingersi porta ad attribuire una diversa importanza alle cose e alle situazioni, ad andare oltre il puro materialismo, a stabilire con chiarezza quali siano le proprie priorità. Tuttavia, la vicenda che Anton deve fronteggiare in Darfur è tutt’altro che semplice: un clan di assassini spadroneggia sul territorio gettando gli abitanti nel panico e uccidendo senza pietà.
Anton è talmente assorbito da questa situazione da non accorgersi della tragedia personale che il figlio Elias, in Danimarca, sta affrontando. Elias è da tempo vittima dei bulli della scuola. È completamente solo, non ha nessuno su cui contare e avrebbe tanto, tanto bisogno di un amico. Così, quando il nuovo arrivato Christian va in suo soccorso, Elias non tarda a stringere con lui un intenso e solidale legame. Ben presto, però, Elias si rende conto che in Christian c’è qualcosa che non va. Il ragazzo è violento, aggressivo, spesso solitario, a volte quasi pericoloso. Cosa nasconde? Qual è il motivo dei suoi scatti d’ira? Quale la ragione di una sete di vendetta tanto intensa e quasi disperata? L’anomalo comportamento di Christian non è ovviamente privo di fondamento. Dietro ogni suo gesto si cela la pesante presenza di un trauma profondo, così profondo da aver modificato l’indole stessa del ragazzo: poco tempo prima Christian era stato costretto ad affrontare la scomparsa della madre. La donna era morta di cancro dopo una lenta e lunga agonia. La natura fragile del ragazzo non aveva retto al dolore ed egli aveva ingenuamente considerato l’aggressività come l’unica via possibile per allontanare la sua mente dal ricordo. Ovvero, scaricare fisicamente sugli altri tutta la sua frustrazione e la sua sofferenza. La potenza della morte fa quasi paura. Come può essere così forte da compromettere in negativo anche la vita di chi non ne è stato direttamente colpito?
Scrive Giovanni Soriano: “La morte delle persone che ci stanno accanto ci riguarda più della nostra”. Dopo la scomparsa di un congiunto, di un amico o di un amante, non si è più gli stessi.
In un mondo migliore è stato presentato anche all’ottantatreesima edizione degli Academy Awards, dove si è aggiudicato per la seconda volta il titolo di “miglior film straniero”. È stato accolto con entusiasmo e con calore anche dal pubblico e dalla critica.
 
Laura Savarino
In un mondo migliore
(Danimarca/Svezia, 2010)
di Susanne Bier
Durata: 113 minuti
Cast: Mikael Persbrandt, Trine Dyrholm, Ulrich Thomsen, Markus Rygaard, William Jøhnk Nielsen, Martin Buch, Bodil Jørgensen, Elsbeeth Steentoft, Kim Bodnia, Anette Støvlebæk


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