- n. 3 - Marzo 2007
- Psicologia
Diversi punti di vista sulla morte
Una mostra di
Gregor Schneider mi ha fatto pensare che quando parliamo di morte dimentichiamo di specificare se lo facciamo dal punto di vista dei vivi o dei morti. Una dimenticanza che, forse, dipende dal fatto che quest'ultimo è il frutto di una immedesimazione dei vivi in chi, essendo morto, non può avere alcun punto di vista. L'artista tedesco ha esposto la propria opera a
Napoli, in una chiesa (
San Gennaro all'Olmo) e nella sede della
Fondazione Morra Greco, con una mostra intitolata "
26-11-2006": secondo il calendario liturgico luterano il 26 novembre è il giorno della commemorazione dei defunti. Ne ha dato notizia, credo unico tra i giornali italiani,
Il Manifesto del 27 dicembre 2006.
Alla
Fondazione Morra Greco si sono viste parti smontate e rimontate della "
casa morta", una sorta di labirinto che
Schneider sta realizzando da anni nella propria casa natale nella città di
Rheydt in
Germania, "
costruendo (scrive
Stefano Chiodi sul
Manifesto)
all'interno degli spazi preesistenti ambienti identici ma necessariamente di dimensioni più ridotte - stanze costruite dentro stanze, muri davanti ad altri muri e così via - sino ad ottenere una sorta di percorso claustrofobico...".
"
La casa morta - continua
Chiodi -
è l'allegoria di una quotidianità che tenta disperatamente di opporsi all'infiltrazione del caos, che si richiude su se stessa, sulla propria opprimente normalità, già però intrisa dallo stillicidio dell'angoscia che cola da muri e pavimenti cronicamente porosi.... Il tempo dell'opera è davvero per Schneider il tempo della vita e l'opera è insieme il bozzolo dentro cui pulsa il vivente e il sepolcro che conterrà alla fine la spoglia disseccata e inutile".
L'artista vuole anticipare il potere distruttivo della morte che rende inconcludenti ogni gesto e ogni progetto, cercando di trasformarli in un potere creativo in grado di "liberare" dall'angoscia proprio rappresentando il destino fallimentare della vita.
Gli spettatori vengono invitati a entrare nel labirinto totalmente al buio e ad inoltrarsi aiutandosi col tatto in un budello che termina bruscamente senza spiegazioni con un muro cieco: conclusione repentina che, nelle parole di
Chiodi, è "
come una morte anonima e antiteatrale, inutile e feroce come tutte le morti, e come queste densa, offensiva e tagliente".
A
San Gennaro all'Olmo la seconda parte della mostra dà un altro messaggio: un grande cilindro verticale di acciaio inossidabile rappresenta l'utopia di un movimento chiamato "transumanesimo" secondo il quale la tecnologia finirà per vincere la morte.
Le due sezioni evocano le possibilità che oggi si prospettano al vivente: la morte è irreparabile e senza via d'uscita oppure è destinata ad essere vinta dal "fare" umano.
La "
Casa Morta" di
Schneider fa pensare alle "case dei morti", le funeral home, nelle quali si rappresenta la morte in un modo totalmente diverso: essa non può essere vinta, ma può essere conciliata con la vita attenuandone la drammaticità soprattutto "
truccando i morti da vivi e in modo che continuino a sembrare se stessi".
Si entra nella "
casa morta" di
Schneider e ci si sente morti, si entra in una funeral home e i morti sembrano vivi addormentati placidamente o morti che non hanno perso la propria identità. Che siano i desideri dei vivi a proiettarsi nel trattamento dei morti? Non vorrebbero i vivi essere da morti in una specie di sonno senza dramma? Non vorrebbero essere riconosciuti anche da morti? Non è per questo che nelle "case dei morti" si cerca di trasformare la morte nel sonno di qualcuno che resta se stesso anche da morto?
D'altra parte, se la "
casa morta" di
Schneider rappresenta la morte in maniera tutta diversa dalle funeral home, l'utopia tecnologica di vittoria sulla morte potrebbe essere considerata come un modo di immedesimarsi nei morti differente da quello che ispira le funeral home. Come dire che mentre i viventi che progettano le funeral home si immedesimano con i morti pensando che secondo chi muore il dramma dei morti è quello di non svegliarsi più e di perdere l'identità, gli utopisti dell'onnipotenza tecnologica si immedesimano con i morti pensando che per chi muore il dramma è "morire" e il desiderio è "non morire".
Francesco Campione