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LE DIVERSE VALENZE DELLA CREMAZIONE

La recentissima legge 5023, che rende possibile anche in Italia la dispersione delle ceneri e prevede la realizzazione di almeno un crematorio per ogni regione, con sale attigue per consentire il rispetto dei riti di commemorazione del defunto e un dignitoso commiato, divide gli animi.

Giovanna A. di Torino mi scrive:
"Finalmente anche nel nostro paese si potrà rispettare la volontà di coloro che dopo essersi fatti cremare vogliono che le loro ceneri siano disperse per fondersi con gli elementi della natura a cui tutti apparteniamo. Per parte mia potrò finalmente, dopo tre anni, esaudire il desiderio di mio marito di mescolarsi con la neve d'alta montagna che tanto amava...".

Ben diverso è il messaggio che mi arriva da Vicenza. Scrive, tra l'altro, Venanzio P., con indignazione vibrante:
"Quando cessa il rispetto per le spoglie mortali cessa l'Umanità! Ci siamo distinti dalle bestie fin dagli albori della civiltà e siamo arrivati ad estendere la sacralità della vita al cadavere facendolo oggetto di cure e di conservazione, perché credevamo che dovesse risorgere a nuova vita o semplicemente per rispettare la vita che aveva rivestito. Ora corriamo a distruggere l'identità del corpo ancora caldo. Polvere siamo e polvere ritorneremo! Devo dire che preferisco l'imbalsamazione che conserva almeno un simulacro della nostra particolarità! La cremazione mi ripugna e mi ripugnerà sempre: l'uomo deve contrastare e non favorire il ritorno alla Natura determinato dalla morte, egli è un essere culturale in grado di trasformare anche la morte col suo lavoro e con la sua attività simbolica. Non è un caso se i più importanti monumenti di tutte le civiltà sono tombe. La cremazione finirà per rendere superflui tombe e cimiteri e l'uomo non saprà più trascendere la morte ma solo disperderne i resti per cancellarne i segni. Senza considerare che ogni fiume, ogni lago, ogni prato sarà contaminato da una morte non più umanizzabile perché ormai completamente imbarbarita, come quella degli animali selvatici i cui resti sono da sempre dispersi in Natura".

Voglio dire a Venanzio P. di considerare seriamente l'argomento di Giovanna A.: qualunque cosa significhi, ci sarà sempre qualcuno che vorrà farsi cremare e disperdere le sue ceneri in Natura, e nessuno ha il diritto di impedirglielo!
Venanzio P. potrebbe ribattere che questa volontà potrebbe essere uno scacco della civiltà umana e quindi andrebbe contrastata educativamente come si contrasta qualsiasi regressione ad uno stadio più infantile.
Ma Venanzio P. dovrebbe tener conto del fatto che anche la cremazione è un trattamento umano del cadavere tramite l'applicazione di una tecnologia. Siamo sicuri che la cremazione con dispersione delle ceneri sia meno simbolica e civile della costruzione di una tomba? Dove s'è visto un animale che brucia un cadavere e trasporta le ceneri in un luogo che ha scelto per disperdervele?

E il fuoco non è una delle due cose (l'altra è l'ignoranza dell'ora della morte) che Prometeo ha regalato agli uomini prendendole agli Dei.
È vero, in altri termini, che i monumenti tombali umanizzano la morte dell'uomo allontanandolo dalla Natura che se lo riprende e avvicinandolo agli Dei che non muoiono; ma è altrettanto vero che il fuoco (in tutte le sue forme, compresa la cremazione) umanizza l'uomo allontanandolo dagli Dei (che lo umiliano perché mortale) e facendolo tornare alla Natura (che diventa cultura se ha bisogno della tecnologia per cancellare le tracce del cadavere). Probabilmente Giovanna e Venanzio non si capiscono, perché entrambi condividono gli effetti dell'essersi costruita la nostra cultura, a cui entrambi appartengono, solo su una delle cose che Prometeo ha trasferito agli uomini: il fuoco, cioè la tecnica. Se, infatti, l'uomo per umanizzarsi, cioè per distinguersi sia dagli dei che dagli animali, avesse solo il fuoco, di fronte alla morte avrebbe solo due alternative: o bruciare il cadavere disperdendone le ceneri e così avvicinandosi più agli animali; oppure costruire col fuoco, cioè con la tecnica, attorno al cadavere qualcosa che duri (un monumento) spostandosi in tal modo nella sua umanizzazione più verso la divinità.

Si tratterebbe di due forme inevitabilmente alienate o 'squilibrate' di Umanità (una Umanità che si umanizza attraverso una cultura che tende ad animalizzarla, oppure una Umanità che si umanizza attraverso una cultura che tende a divinizzarla).
Le cose cambierebbero se ci si ricordasse che Prometeo ha dato agli uomini anche l'ignoranza dell'ora della morte, il che significa che non sapendo quando dovrà morire egli è libero di lasciarsi andare agli impulsi della natura (e tendere ad animalizzarsi) o di desiderare la perfezione (e tendere a concepirsi sempre più a immagine e somiglianza della divinità). Una libertà di cui porta tutta intera la responsabilità sulle sue spalle e che non può cedere a nessuno.

Tornando alla cremazione, ciò significa che ci può essere un terzo modo di concepire le cose rispetto ai due in contrasto di Giovanna e Venanzio.
La terza alternativa consiste nella possibilità di scegliere di farsi cremare disperdendo le proprie ceneri nella Natura senza smettere di desiderare di vivere in eterno nel cuore dei propri cari, nella considerazione dell'Umanità intera o attraverso la resurrezione che ci hanno promesso alla fine dei tempi; oppure di farsi imbalsamare in una tomba faraonica senza dimenticare che siamo polvere e polvere ritorneremo.
 
Francesco Campione

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