Nel marzo del 2002 a Modena, in occasione di TANEXPO, si tenne un Convegno dal titolo analogo a quello odierno, ma con una piccola differenza per la quale venni bonariamente ma fermamente ripreso da un anziano e noto ex collega di Foggia, Alfonso De Santis. In quella sede, sbagliando, si parlava dell'etica come di "un valore aggiunto" per la nostra professione; invece, come fece giustamente osservare De Santis, l'etica deve essere "il valore fondamentale" del nostro lavoro.
In Italia, infatti, più di mezzo milione di famiglie ogni anno subiscono un lutto e, per questa ragione, devono forzatamente prendere contatto con operatori del settore funebre ed esporsi, in condizioni di particolare fragilità psicologica e di comprensibile debolezza contrattuale, al possibile cinismo contrattuale altrui. A tutti è capitato di leggere notizie giornalistiche sul cosiddetto "caro estinto" in cui gli Impresari di Onoranze Funebri vengono di volta in volta paragonati a sciacalli, iene, avvoltoi … poveri ed incolpevoli animali che per antonomasia, però, vengono accostati genericamente (e spesso erroneamente) alla morte ed ai cadaveri.
Purtroppo infiniti episodi di cronaca mettono spietatamente in luce il lato peggiore di operatori senza scrupoli: la venalità, i sistemi fraudolenti e le malversazioni messi in atto per acquisire il maggior numero possibile di servizi funebri e per aumentare i propri utili a spese di persone già duramente provate. D'altronde, per coloro che non hanno una formazione ed una coscienza etica non esistono scrupoli; diceva Goethe: "Man sieht was man weiss" (si vede solo ciò che si sa). Una critica puntuale, precisa e implacabile di fatti e di situazioni detestabili può senza dubbio aiutare il pubblico a denunciare e ad emarginare prevaricazioni e imbrogli. Dobbiamo d'altro canto tener conto delle migliaia di Operatori seri e corretti e degli infiniti episodi di comportamenti esemplari, improntati alla pietas e densi di solidarietà, di delicatezza, di generosità e di rigore professionale.
La spinta principale alla crescita morale, etica, culturale ed il conseguente recupero di una immagine sociale positiva non possono venire che dall'interno della categoria stessa, dai molti Colleghi impegnati in prima persona che ammiro e ringrazio. Molteplici sono stati negli anni i tentativi di dotarsi di un codice deontologico di riferimento per sottrarsi ad una sorta di linciaggio morale da parte dei media, delle istituzioni, della pubblica opinione. Ma oggi non parliamo di deontologia professionale, "l'insieme degli obblighi morali che concernono un gruppo morale o professionale e che vengono raccolti in un codice" ispirato ai principi dell'etica.L'etica di cui trattiamo oggi è una somma di principi morali che si prefigge di esaminare la rettitudine delle azioni umane e che entra in azione quando mettiamo in discussione ciò che è giusto e buono, quando il concetto di morale diventa problematico, quando deve essere risolto il conflitto fra interesse proprio e necessità altrui.
D'altronde un problema che non susciti dubbi o angosce forse non è un problema etico. Paul Valery affermò che "un certain mystere et un certain trouble sont necessaires pour que la morale existe" (un certo mistero e un certo turbamento sono necessari perché la morale esista). Guarda caso, etica (dal greco "ethos") e morale (dal latino "mos") hanno un etimo comune che deriva da "costume" nel senso di consuetudine, modo di agire dell'uomo. È d'obbligo quindi non confondere i due concetti, affini ma non identici, di "etica" e di "deontologia" poiché, come sostengono Pellegrino e Thomasma, "l'etica, a differenza della legge, è un fine adattamento all'assunzione volontaria di obblighi in quanto essi sono richiesti dalla vera natura di certe relazioni fra gli uomini".
Quale significato possiamo dare concretamente al concetto di comportamento eticamente corretto nella quotidianità delle nostre relazioni professionali che, come dicevamo, sono sempre esposte al rischio di censura? Sarebbero moltissimi i precetti di comportamento corretti da osservare nelle relazioni con i dolenti e con tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nella nostra attività: il rispetto assoluto delle volontà del defunto e dei familiari, la sensibilità in tutte le fasi della cerimonia, la puntualità, la riservatezza, la serietà, l'efficienza, la professionalità propria e del personale, la presenza discreta, … . Tutte queste importantissime qualità rientrano comunque in quello che potremmo definire un decalogo professionale. L'imperativo etico, il dovere morale è altra cosa, è di più: è l'assistenza al dolente ("adsistere" significa fermarsi accanto, stare vicini), è dare spazio alla comunicazione reciproca per non lasciare il dolente solo con le sue ansie, con i suoi legittimi dubbi. Non compete a noi lenire il dolore per il lutto subito. Questo è un peso demandato ad altre figure e, a volte, l'elaborazione del lutto non risponde neppure al lento scorrere del tempo.
Molti anni or sono, studente in medicina, mi colpì un intervento del Professor Costantino Iandolo in tema di etica e di vita ospedaliera; mutuandolo ad uso della nostra professione potrebbe essere un insegnamento fondamentale nella formazione obbligatoria introdotta recentemente. Ritengo che quella che lui definì "la regola dei quattro passi" potrebbe divenire una utile disciplina morale per chi volesse darsi un orientamento professionale eticamente corretto:
1. ottenere dai dolenti il maggior numero possibile di informazioni riguardo le volontà del defunto e dei parenti stessi;
2. identificare le scelte ed orientarle verso le soluzioni meno onerose per le famiglie;
3. riflettere su cosa fare o non fare e decidere sempre per consigliare al meglio anche con l'aiuto, se richiesto, dei religiosi;
4. agire in conformità alle decisioni prese.
In ogni passo, prima di passare al successivo, è imperativo essere sempre in grado di rispondere alla propria coscienza e non dimenticare mai che colui che si rivolge a noi come professionisti ha il diritto di ottenere tutti i consigli tecnici dovuti nel pieno rispetto della sua personalità, della sua fede, dei suoi costumi, con opportuna persuasione, ma senza coercizione o, peggio, inganno, ed in piena libertà di scelta.
È mia intima e forte convinzione che la nostra professione non sia solo un insieme di servizi e di forniture, ma anche una impresa morale e che ogni servizio reso debba essere illuminato dalla sempre attuale preghiera di Mosé Maimonide, medico del XII secolo: "O Dio, infondi in me l'amore per la mia arte e per le Tue Creature. Non permettere che la sete di guadagno e l'ambizione di essere noto e ammirato ostacolino e siano danno per la mia professione…".