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La città capovolta in Mesopotamia

Il defunto adottato e il re sostituito

Le antichissime civiltà Mesopotamiche hanno dato il via ad una rappresentazione della morte e del lutto che in parte somiglia a quella attuale. Insediate in un territorio ricco e prolifero, con l’introduzione della scrittura e con la costruzione di città strutturate hanno pian piano concretizzato il rito funebre, assente nella preistoria. Il rito segna un chiaro passaggio temporale: si stabilizza in una società organizzata in cui si può comunicare parlando e scrivendo ed in cui soprattutto vi è una modalità molto più complessa di rapportarsi con gli Dei. La Divinità non è più solo l’oggetto materiale o l’entità astratta che governa la buona riuscita della caccia e il susseguirsi delle stagioni, ma adesso possiede una storia ed una funzione definita. L’organizzazione sociale terrena viene trasfigurata e riproposta anche nell’ambito della morte. Il defunto vive con esattezza la vita terrena, abitando però gli inferi che si trovano sotto la terra dei vivi, in città cupe e tristi senza la possibilità di riscatto.
Architettonicamente la città capovolta è la città sotterranea dei defunti, posizionata idealmente sotto le acque dell’oceano al cui centro vi è, appunto, la Mesopotamia. Identica per aspetto e per forma a quella dei vivi. Un popolo evoluto ha bisogno di una rappresentazione più complessa dello spazio. Anche di quello della morte. Da questo si evince che il rapporto Uomo-Divinità è differente da quello che si instaurerà successivamente già a partire dagli Egiziani poiché questo popolo, forse, non ha ancora sviluppato una astrazione di pensiero tale da poter immaginare un mondo dopo la morte diverso da quello terreno.
L’elemento comune tramandato fino a noi, e che trova in Mesopotamia il proprio archetipo, è quello della preparazione della salma che viene lavata con acqua pura ed unta con olio. Semplice è l’associazione di tali pratiche con le culture successive, fino alla quella relativa alla religione cristiana: Gesù verrà unto con l’olio di ulivo da Maria, sorella di Marta, prima di varcare la soglia di Gerusalemme; e ancora oggi avviene con l’olio l’estrema unzione del rito funebre. L’acqua è elemento cardine di purificazione e simbolo per eccellenza di nuova vita: come Gesù Cristo verrà battezzato da San Giovanni Battista nel Giordano prima di entrare nella via dello spirito, così il defunto viene purificato per entrare nella nuova vita. Il lavaggio e l’unzione fanno comprendere quanto fosse importante il corpo in queste culture: corpo ed anima appaiono indissolubilmente legati e la cremazione era considerata abominio poiché capace di bruciare l’anima oltre che il corpo. È un elemento chiave che fa intendere quanto i popoli mesopotamici fossero legati alla rappresentazione terrena del lutto tanto che dopo la morte il defunto viene nutrito con cibo ed acqua.
Spesso vi era usanza di seppellire i defunti sotto il pavimento della casa dei vivi. Se l’abitazione sotto cui era inumato il corpo cambiava proprietario, questo aveva il compito di adottare il defunto rendendogli regolari offerte. Inoltre, quando i sacerdoti presagivano che il proprio sovrano stava per passare a miglior vita, spesso si ricorreva al metodo del “Re Sostituito”. Il re in carica veniva sostituito per cento giorni da un altro individuo che ne faceva le veci fino a quando non veniva ucciso, liberando il vero re da quel destino che non intendeva compiere. Di norma il regno degli inferi è il luogo in cui si entra e da cui non si può mai più far ritorno. Per gli uomini privi di cariche regali la sostituzione avveniva per mezzo di animali, mimando in dettaglio il rituale di morte e seppellendo l’animale vestito con gli abiti della persona da sostituire.
Per concludere possiamo riflettere su come la civiltà mesopotamica abbia generato elementi rituali che ancora oggi ci appartengono per modalità ed influssi. E soprattutto per diversi aspetti abbia inteso la morte come un capovolgimento totale della vita: architettonicamente perché il regno dei vivi è speculare a quello dei morti, in relazione alla costruzione della città; culturalmente perché un popolo cosi ricco aveva bisogno di rapportarsi attraverso la ricchezza (intesa in termini non monetari, ma di abbondanza) con la morte (un uomo con molti figli era più fortunato di un uomo con un solo figlio poiché avrebbe avuto offerte più ricche dopo la morte); simbolicamente perché le rappresentazioni della vita e della morte sono diametralmente contrapposte. Il feto che diviene bambino è bloccato nel ventre materno, legato alla madre dal cordone ombelicale che viene reciso alla nascita quando vede la luce; il defunto che viveva libero viene bloccato dal demone degli inferi (una chiara rappresentazione della morte è data dalla impossibilità di muovere gli arti e di parlare) e si avvia a vivere nell’oscurità delle tenebre. Vita e morte sono quindi contrapposte, ma indissolubilmente legate.
 
Miranda Nera


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