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La Death Education contro i tabù

Intervista a Ines Testoni, professoressa di Psicologia  e direttrice del Death Studies & The End of Life dell’Università di Padova.

Può la morte non essere un tabù? Come sta cambiando o come dovrebbe cambiare il nostro approccio alla morte?

Per approfondire queste tematiche ho contattato una grande esperta in materia: la professoressa di Psicologia delle relazioni di fine-vita, perdita e morte, nonché direttrice e fondatrice del master Death Studies & the End of Life dell’Università degli Studi di Padova, Ines Testoni.

Persona stimatissima nel settore, la professoressa Ines Testoni mi è venuta subito in mente quando si è trattato di approfondire questi temi e, più in generale, quello della Death Education. Ne è nata una bellissima chiacchierata, i cui passi salienti sono riportati in questa intervista.

Cosa si intende per Death Education?
La prima cosa che possiamo dire è che la DeEd (acronimo di Death Education) vede le sue origini nel mondo anglosassone a partire dal 1970, grazie ad alcui tanatologi storici molto famosi. Negli anni a venire questi percorsi, così come altre iniziative inerenti al tema, si sono ampiamente diffusi anche negli Stati Uniti.
Tutto si incentra sul movimento di sensibilizzazione nei confronti della morte espresso da tre autori fondamentali: Herman Feifel, Elisabeth Kübler-Ross e Cicely Saunders. Lo psicologo Herman Feifel è stato il primo che, con la pubblicazione nel 1959 del suo libro The Meaning of Death, ha iniziato alla DeEd. Feifel inoltre aveva affrontato la seconda guerra mondiale come aviatore.
Cicely Saunders, infermiera e medico, fondò il primo hospice a Londra nel 1967 e, con esso, la filosofia alla base delle cure palliative. Anche lei aveva affrontato la guerra, come infermiera, portandosi dietro un’esperienza particolarmente gravosa.
Infine Elisabeth Kübler-Ross, psichiatra, che pubblicò On Death and Dying, un libro che raccoglie le interviste ad oltre 200 pazienti terminali, punto di partenza per la sua (oggi celebre e spesso fraintesa) teoria sulle fasi dell’elaborazione del lutto.
Negli anni '70 il movimento di sensibilizzazione sfocia nella pubblicazione di un giornale scientifico ad opera di una associazione ASDS che oggi si chiama appunto Death Education.

Sostanzialmente, tali pensatori si rendono conto che nel secondo dopoguerra il benessere ha veramente raggiunto livelli elevatissimi. E all'interno delle dinamiche del benessere gioca un ruolo particolare il tentativo di nascondere la malattia e la morte. Ed è per questo che gli stessi ideatori del movimento pensano di intervenire sui giovani. Ricordiamoci che sono anni in cui si tenta di allontanare l'esperienza, all'interno della famiglia, della fragilità del corpo che si ammala perché la malattia e la morte iniziano a venire istituzionalizzati e "chiusi" dentro strutture sanitarie.
Secondo questi pensatori, proprio l'allontanamento della morte dalla nostra quotidianità, da parte della società, è ciò che - paradossalmente - innesca poi comportamenti bizzarri e devianti (dalla tossicodipendenza ad altre problematiche). Secondo questo concetto infatti, l'incapacità giovanile di elaborare l’idea della morte era proprio causa di inneschi peculiari di dipendenze o giochi tendenti alla morte stessa.

La DeEd dunque inizia ad accendere un faro sulla necessità di familiarizzare con il concetto di morte, di farsi un'idea adulta potendo partire dall'infanzia, cioè praticamente di rendersi conto che la morte è un fenomeno necessario, naturale e dunque saperlo riconoscere nelle sue caratteristiche fondamentali. Per fare questo iniziarono una serie di esperimenti, di esperienze.
Da allora la DeEd ha preso sempre più piede, è diventata istituzionale: esistono dei percorsi, negli Stati Uniti, che formano gli insegnanti; esistono dei manuali e all'interno delle scuole si sa come fare per sviluppare questa competenza. Certo però che questa è rimasta per diverso tempo un'esperienza americana ed ora è arrivata in Italia ed Europa grazie anche al mio lavoro».
A proposito di Europa, oggi di cosa si occupa?
In Italia ci lavoro da una ventina d'anni. A livello nazionale coinvolgo non solo le Istituzioni ma anche le scuole, la gente che ha accolto il progetto e lo ha promosso in tutta Italia. Non tutte le esperienze sono identiche. Il percorso ottimale ritengo possa essere quello che parte dagli insegnanti perché una volta formati gli insegnanti, questi sanno come interagire con i giovani, siano essi bambini o adolescenti. Dopodiché il lavoro necessariamente deve coinvolgere anche i genitori perché devono sapere che cosa diciamo e quali tematiche vengono affrontate a scuola dai loro figli.
Il procedimento esperienziale ha rilevato che dopo il percorso di DeEd vi è un miglioramento degli studenti e una riduzione dell'ansia di morte, specialmente nell'elaborazione dei lutti traumatici.

Per tornare a quello di cui mi occupo, in questo momento sto preparando i materiali didattici e i miei interventi per il Corso di Perfezionamento in Creative Arts Therapies per il sostegno alla resilienza, che mira a far acquisire competenze applicabili trasversalmente in vari contesti professionali mediante l’utilizzo delle arti terapie per il sostegno alla resilienza. Il corso si basa su un approccio integrato, innovativo e multidisciplinare attraverso il dialogo tra filosofia, psicologia e pedagogia».
La rivista Oltre parla agli operatori del settore: c'è una coscienza, nella sua esperienza, in questo ambito?
So che nel settore c'è una lunga tradizione di sensibilizzazione. Vedo che le imprese hanno interesse a divenire loro stesse promotrici di questo cambiamento culturale rispetto agli atteggiamenti che riguardano il pensare la morte. Si tenta di smantellare, consapevolmente e con maturità, il tabù della morte del senso comune. A tal riguardo sto realizzando un percorso proprio con un circuito di imprese che vogliono promuovere la DeEd nell'ambito funerario e cimiteriale. Trovo che tale iniziativa abbia giovato alle imprese stesse, ai loro dipendenti, ma non solo. La DeEd diventa strumento utile per il comparto funebre, in generale. Coadiuva e migliora il modo con cui gli stessi operatori sapranno interloquire con le famiglie che assisteranno. Naturalmente, si potrebbe migliorare il percorso esperienziale ove la DeEd diventasse parte del percorso di formazione obbligatoria imposto per legge».
 
Avv. Alice Merletti & Avv. Elena Alfero

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