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La morte si fa social

Immortalità, memoria e lutto nell'epoca della cultura digitale: come cambia il rapporto con la morte ai tempi dei social network.

La morte si fa social è il titolo di un volume edito da Bollati Boringhieri, nelle librerie dall’autunno 2018. L’autore, Davide Sisto, filosofo ed esperto di tanatologia, con questo suo lavoro intende esaminare come la rivoluzione digitale che ha cambiato il nostro modo di comunicare e di relazionarci in tutti gli ambiti e gli eventi della nostra esistenza, abbia influito anche sulla morte. Si vedrà come l’argomento tabù per eccellenza, accuratamente evitato dalla società civile per essere relegato alla sfera del privato, sia invece presente in maniera esplicita e rilevante nel web. Vengono inoltre analizzate  in maniera approfondita le interazioni tra gli utenti dei social network quando si trovano al cospetto di un evento luttuoso e di come i rapporti dopo la scomparsa di un membro della community possano proseguire e con quali modalità.

Questo studio ha tratto spunto da un caso, non certo inconsueto, accaduto all’autore quando qualche anno fa ha ricevuto una notifica da Facebook che gli ricordava di fare gli auguri ad un amico nel giorno del suo compleanno. L'amico però da qualche mese era deceduto e va da sé che questo “incidente” ha innescato una serie di riflessioni e di considerazioni accompagnate dall’esigenza di studiare tali dinamiche più da vicino.

Abbiamo già accennato in un precedente articolo pubblicato tempo fa su questa rivista (n. 2/2017) del diritto all’oblio e di quanto non sia semplice eliminare l’account di una persona deceduta dai social network. Forse anche per questo motivo la maggior parte dei profili sopravvive alla morte del legittimo titolare con conseguenze dai risvolti a volte imprevedibili che meritano di essere indagate.

Già con la fotografia, ma ancor più con l’avvento della televisione, che ha reso possibile la riproduzione oltre che delle fattezze fisiche, anche della voce, delle parole e dei movimenti delle persone, si è avuto un primo assaggio di immortalità. Il web che al contrario della televisione è alla portata di tutti, ha amplificato le opportunità di registrazione e di condivisione. Possiamo lasciare tracce di noi stessi, non solo con la nostra presenza diretta sui social network - quali Facebook, Instagram, Twitter o You Tube, solo per citare i più noti - ma anche tramite chat, blog, messaggi di posta elettronica, archivi digitali che abbiamo affidato ad un servizio di cloud storage, per non parlare della messaggistica istantanea come Whatsapp o Messanger. Nella società attuale sono ingenti i dati che ogni persona immette nella rete, destinati a sopravvivere per un tempo incalcolabile dopo la sua morte e che rimangono costantemente accessibili.

Che cosa succede ai nostri account quando moriamo? Se non abbiamo provveduto in anticipo a dare disposizioni o al gestore della piattaforma o ad una persona di fiducia a cui consegnare anche tutte le password di accesso, i nostri profili continuano a rimanere attivi a tempo indeterminato o fino a quando il sito sarà operativo. Attualmente Facebook conta circa 50 milioni di utenti passati a miglior vita. Qualcuno lo ha già definito il cimitero più grande del mondo e si stima che nel 2098 gli utenti deceduti supereranno quelli in vita.
Si è visto che nel periodo immediatamente successivo al decesso tutti gli account della persona interessata continuano a “vivere” come se nulla fosse successo, veicolando gli abituali messaggi, inviti e condivisioni. Sono destinati a diminuire nel tempo, ma mai a cessare completamente. Da una ricerca che dal 2011 al 2015 ha monitorato i profili Facebook di persone decedute si è inoltre notato che quando una persona muore aumentano del 30% le iterazioni che i suoi amici hanno fra di loro nell’ambito del social stesso: un modo per condividere la perdita ed elaborare il lutto insieme. Un rituale nuovo che assolve a bisogni antichi ed universali: mantenere viva la memoria del proprio caro attraverso il ricordo e al tempo stesso far parte di una cerchia selezionata di persone con cui si stabilisce un immediato rapporto empatico che infonde un senso di protezione e sicurezza. E così la bacheca del defunto si riempie di pensieri, poesie, dediche, tracce musicali, disegni e foto e non solo nel periodo immediatamente successivo alla scomparsa, ma anche in occasione di particolari ricorrenze come il giorno del suo compleanno o a Natale, per sottolineare un legame che continua, che la morte non ha interrotto.
Ma ci si può spingere oltre. Acquisendo ed elaborando a livello informatico tutte le informazioni possibili, i dati disponibili e le registrazioni vocali che riguardano una data persona e utilizzando un software capace di simulare conversazioni umane è possibile dare letteralmente voce al defunto ed interagire verbalmente con lui. Uno “spettro digitale” che darà risposte in linea con le sue idee e i suoi interessi, rispettando la sua personalità, utilizzando il lessico e modi di esprimersi tipici del suo essere. Questo è quanto ha esattamente realizzato Eugenia Kuyda per ricordare l’amico Roman Mazurenko morto in un incidente stradale a Mosca nel 2015; ciò è stato possibile grazie ad un enorme lavoro di raccolta di dati, alla collaborazione di tanti amici e conoscenti e alla messa a punto di specifici programmi informatici.

In Be right back, un episodio della serie televisiva Black Mirror trasmessa dal canale inglese Channel4, la protagonista Martha, oltre ad utilizzare una applicazione per comunicare costantemente con il marito deceduto, arriva addirittura a riprodurne le fattezze fisiche, un corpo artificiale perfetto che si aggira per casa ma da cui alla fine prenderà le distanze, frustrata dall’incolmabile distanza che intercorre tra quella che era la persona reale e il suo algido avatar. Anche se si tratta di fiction tutto ciò oggi è comunque tecnicamente più o meno possibile. Inquietante? Affascinante? Auspicabile? Ognuno giudicherà con la propria sensibilità, certo è che la tecnologia sembra aver sconfitto la morte.

I social network sono i luoghi virtuali privilegiati per ricordare il caro scomparso e condividerne la perdita, ma online troviamo molto altro che riguarda la morte. Vi sono siti dedicati alla selezione e all’immagazzinamento di frammenti di vita da lasciare a chi ci sopravvive, applicazioni specifiche per cimiteri, altre che danno la possibilità di realizzare funerali in streaming, oltre ovviamente, ad innumerevoli siti tematici che trattano l’argomento dal punto di vista filosofico, culturale, educativo e con finalità di supporto alle persone colpite da lutto.

Nella società attuale la vita reale e quella digitale non sono in contrapposizione, la maggior parte di noi vive contemporaneamente sia in una dimensione offline che online. E quest’ultima non è meno vera ed importante: in rete mostriamo molto di noi stessi, interagiamo continuamente con gli altri, condividiamo idee, sogni e momenti di sofferenza, facciamo amicizie, ci innamoriamo, litighiamo e ci riappacifichiamo. Nel web agiamo mossi dagli stessi sentimenti e bisogni che abbiamo nella vita esterna, ma sono differenti le modalità. Si è molto discusso in questi ultimi anni - e se ne discute tuttora - di come l’avvento di internet abbia modificato e ricodificato i comportamenti sociali. Alla luce dei nuovi modelli relazionali e comunicativi, si rende pertanto necessario ripensare anche al rapporto con la morte e con la memoria di chi ci ha lasciato.
 
Raffaella Segantin



NOTA BIOGRAFICA:
Davide Sisto è un giovane filosofo torinese esperto di tanatologia, appassionato di romanticismo tedesco e di musica rock. Colpito fin da adolescente dalla precarietà della vita, da una decina di anni si occupa delle tematiche che riguardano la morte indagando sul significato che riveste all’interno della vita, di come la sua presenza incide in relazione alla costruzione dei rapporti umani e cercando, in particolar modo, di capire come le nuove tecnologie abbiano mutato il nostro legame con essa e con il concetto di immortalità.
Assegnista di ricerca in Filosofia Teorica presso l’Università di Torino e insegnante al “Master in Death Studies & the end of life” dell’Università di Padova, collabora con diverse Asl piemontesi ed è curatore, insieme a Marina Sozzi, del blog Si può dire morte. Oltre a numerosi saggi su riviste nazionali ed internazionali, ha pubblicato Lo specchio e il Talismano. Schelling e la malinconia della natura (2009), Narrare la morte. Dal romanticismo al post-umano (2013) e Schelling. Tra natura e malinconia (2016)
La morte si fa social (Bollati Boringhieri, Torino 2018) sarà tradotto in lingua inglese da MIT Press nel 2020.



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