- n. 5 - Settembre/Ottobre 2016
- Cultura
Dalle civiltà mesopotamiche al popolo egizio: l'evoluzione del concetto di Aldilà e dell'architettura del luogo della morte
Il concetto della morte alle origini della civiltà
Ciò che rende estremamente interessante il popolo Egizio è la modalità di approccio al tema della morte e del lutto. Tutti gli esseri viventi muoiono: è la natura, è la normalità. Ma tra tutti gli esseri dotati di intelletto, l’uomo è l’unico che ha associato a questo evento una sensazione di profonda angoscia e timore. Vani sono i tentativi di sfuggire ad essa, l’appuntamento ha un orario inderogabile, a prescindere dal ruolo sociale o dalla ricchezza economica. Tuttavia, nella normalità della nostra vita di uomini moderni, viviamo come se mai dovessimo morire; Freud chiamava questo particolare processo
“Negazione”. La Negazione ci aiuta a superare l’ansia ed a proseguire nel cammino della nostra esistenza. Noi non sappiamo con certezza cosa ci sia dopo la morte. Nei secoli l’uomo si è avvalso di innumerevoli supposizioni, supportate dalla religione, dalla storia, ed anche dal folklore, ma ad oggi viviamo immaginando un dopo, che comunque rimane velato di un’aura di mistero.
Se tutti i popoli vivono pensando alla morte,
il popolo egizio viveva in funzione della morte. Questa è una differenza di approccio sostanziale e, nonostante siano passati secoli, rimane l’unica comunità ad avere una visione tanto chiara e reale di essa. Per questa stirpe l’idea del morire era qualcosa di connesso in modo razionale e indissolubile alla vita. Il Faraone non a caso aveva il compito più importante di qualsiasi altro uomo, che non era solo quello di amministrare e gestire il proprio popolo come avveniva per ogni Re, ma di salvarlo dalla notte eterna. Egli viveva la propria esistenza aspettando il giorno della sua morte. Ecco perché ogni Faraone in vita spendeva tempo e denaro per la costruzione delle Piramidi.
Il Re Sumero al contrario non voleva morire. Quando stava per passare a miglior vita,
sceglieva un suo sostituto che ne faceva le veci per cento giorni,
affinché la morte lo scambiasse e non lo prendesse con sé. Le civiltà Mesopotamiche avevano un’idea molto scoraggiante della morte e del lutto. Nonostante le tombe dei Re fossero ricche e molto articolate da un punto di vista architettonico, ciò che mancava era la capacità di inventare un dopo che potesse in qualche modo sopperire alla paura della fine, o che fosse quantomeno allettante, come ad esempio l’idea del Paradiso Cristiano.
Per i Sumeri la dimensione della morte era solo una triste trasfigurazione di quella della vita; pensavano che i morti vivessero in una città sotterranea cupa e priva di luce. Ciò che rendeva molto avvilente la loro visione era l’impossibilità di un riscatto, di una rinascita, di un’ascesa verso una dimensione migliore. Il loro Aldilà era statico, mentre quello Egizio era dinamico e ricco di colpi di scena.
Dagli Egiziani in poi tutto cambia, i sovrani, i sacerdoti i saggi ed anche le genti di ogni Paese incominciano ad immaginare viaggi dalle sfumature fantastiche.
La morte non è più la fine. La morte finalmente ha un senso: diviene rinascita. Non a caso mentre la città Mesopotamica dei morti è oscura, il Faraone del suo viaggio nell’ aldilà viene accompagnato dal Dio del Sole. Una contrapposizione significativa poiché ancora oggi nell’immaginario collettivo il sorgere del sole indica nuovo inizio e rinnovamento. Il Faraone diventa l’Eroe nella narrazione di una storia avvincente che sarà lo spunto per molte raffigurazioni successive. Dopo la morte egli compiva un
viaggio surreale in cui attraversava dodici porte, una per ogni ora della notte, lottando con forza ed astuzia contro demoni spaventosi. Egli non aveva paura della morte
. Il dodici è un numero mistico, interessante e ricorrente. Gli Dei più importanti dell’olimpo sono dodici, come sono dodici i Cavalieri della Tavola Rotonda di Rè Artù oppure i mesi che compongono l’anno. Questo numero ha un significato esoterico perché indica il numero delle prove che deve compiere l’Iniziato per evolversi nella sua trasformazione interiore. Anche nella Bibbia, nel Vangelo e nell’Apocalisse di San Giovanni ritroviamo il dodici come numero mistico, basta pensare al numero degli Apostoli.
Da un
punto di vista architettonico l’evoluzione del luogo della sepoltura avviene in modo graduale. In Egitto la rappresentazione spaziale delle prime tombe, come quella del Faraone Ninetjer appartenente alla II Dinastia, è forse la raffigurazione fisica dell’idea di “Città dei Morti” propria delle Civiltà Mesopotamiche. Qui infatti la camera funeraria è circondata da un insieme di tunnel e gallerie che stanno quasi a formare un labirinto. Gli archeologi hanno dedotto che il suddetto labirinto fosse la riproduzione del palazzo reale del Faraone. Già nella III Dinastia questa idea si perde, ma comunque il collegamento con l’oltretomba del popolo Sumero rimane un elemento interessante.
Un altro elemento di collegamento, che comunque viene ritrovato quasi in tutte le culture più antiche, riguarda la diversificazione del trattamento rituale e religioso della morte. Inizialmente solo i faraoni, gli scribi o i re avevano il privilegio di essere sepolti in tombe imponenti. L’aldilà del popolo Egizio è collocato in un paesaggio rurale, in cui si compiono i lavori dei campi ed in cui continuano le azioni in modo molto simile a quelle della vita vera. Anche se il dopo non risulta essere particolarmente idilliaco, questo è comunque riservato solo alle persone pure di spirito. Successivamente nascerà l’idea del Paradiso e dell’Inferno come luoghi ultraterreni.
Gli Egiziani non creavano un luogo per le persone abiette, ma le davano in pasto alla feroce bestia il cui nome era
Ammit (colei che ingoia il defunto) un misto tra leone, coccodrillo e ippopotamo, subito dopo
la pesatura dell’anima. Il rituale di pesatura viene scoperto per la prima volta grazie al Papiro di Ani. Anche nella tradizione iranica le anime dei defunti vengono pesate da Mitra su una bilancia che non distingue ricchi e poveri. Presso gli Ebrei il Talmud fa riferimento all’angelo Dokiel che compie la pesatura per conto di Dio.
Popoli e credenza si susseguono, evolvendosi e traendo spunto da una storia infinita di culture e religioni in cui però l’origine rimane sempre la stessa, e cioè Dio.
Miranda Nera