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Reincarnazione ed evoluzione della coscienza

"Il cambiamento non è mai doloroso. Solo la resistenza al cambiamento lo è". Buddha


Volendo definire la visione della morte nella dottrina buddhista utilizzando un unico termine, quello sarebbe sicuramente “cambiamento”. Per la religione buddhista, infatti, la morte non è la fine, ma il passaggio da uno stadio all’altro della coscienza umana, generato appunto da un mutamento di condizioni. Non ci troviamo di fronte ad un concetto astratto, bensì ad una situazione estremamente reale e sicura, poiché logica conseguenza della vita. Secondo questa affascinante disciplina l’uomo è costituito da due elementi differenti ma allo stesso tempo legati in modo indissolubile: il corpo, che rappresenta l’aspetto tangibile, e la coscienza spirituale. Il corpo è composto dai quattro elementi principali (terra, acqua, fuoco ed aria) destinati a dissolversi con la morte fisica; la coscienza, al contrario, è costituita da una materia diversa e continua ad esistere dopo il decesso mutando in qualcosa di differente e trasmigrando da una vita all’altra.

Il buddhismo, fondato circa 2.500 anni fa nella parte settentrionale dell’India e diffusosi in seguito nella maggior parte del continente asiatico, è una delle religioni considerate “universali”. Si basa su una filosofia complessa che predica la liberazione dal mondo quale condizione e luogo di sofferenza. Non crede in un essere superiore creatore e reggitore dell’universo, ma in un percorso  evolutivo personale verso uno stato di redenzione definitiva.

Esistono scuole di pensiero diverse che si rifanno agli insegnamenti del Buddha, il “Risvegliato”, colui che ha fornito agli uomini la chiave per uscire dal ciclo delle reincarnazioni a seguito della morte e raggiungere la condizione di pace assoluta derivante dall’assenza del dolore che, come indica il monaco di origini tedesche Nyanatiloka, consiste "nella totale estinzione degli impulsi volitivi che accettano la vita e a essa si aggrappano convulsamente, manifestandosi come brama, odio e accecamento; e quindi la liberazione completa e definitiva da tutte le future reincarnazioni, dalla vecchiaia e dalla morte, dalla sofferenza e dall'affanno".
Secondo i buddhisti più che un’anima vera e propria ogni uomo custodisce dentro di sè un “flusso di coscienza” che quasi con la stessa forma di una folata di vento, dopo il trapasso si sposta da un essere vivente all’altro, seguendo il principio della fine e della conseguente rinascita. É il karman (ossia l’insieme delle azioni compiute da ogni essere vivente) che stabilisce come e quanto possa essere articolato un ciclo di vita. La somma delle azioni e dei comportamenti definisce un Karman negativo oppure un karman positivo; solo quest’ultimo dà la possibilità di evolversi verso un ciclo di vita superiore.Il Samsara, ovvero la ruota delle rinascite, è apparentemente un carosello senza fine che alimentato da un buon karman e dalla messa in pratica degli insegnamenti del Buddha porta al raggiungimento dell’obiettivo più vero ed affascinante della vita dell’uomo: il Nirvana.

Metaforicamente parlando, il Nirvana è un qualcosa di indefinito, che si trova a metà tra un posto fisico ed un posto mentale. Il Paradiso per la maggior parte delle religioni precedenti al buddhismo è sempre stato rappresentato come un luogo di pace e di quiete, il Nirvana è la pace e la quiete. È lo stato d’animo assoluto in cui l’interiorità di ogni individuo si distacca da tutto ciò che appartiene alla materialità della vita, annullando i desideri terreni che bloccano l’evoluzione.

Da un punto di vista fisico, l’aldilà è comunque rappresentato anche come un luogo vero e proprio. Sicuramente la scuola fondata dal monaco indiano Vasubandhu, uno dei più grandi patriarchi del buddhismo, ci ha lasciato una visone abbastanza particolareggiata dei luoghi dell’oltretomba. Secondo questa teoria l’universo è suddiviso in tre aree: quella del desiderio, che mantiene un’energia bassa poiché ad essa appartengono coloro che ancora non riescono a slegarsi dal ciclo quasi eterno delle reincarnazioni, quella delle apparenze che è abitata solo dalle divinità e quella dei risvegliati, che appare come un miraggio, ma che è il luogo più ambito per ogni essere umano.

Ciò che è molto interessante è che nonostante esista l’idea della reincarnazione dopo la morte, esiste anche l’idea dell’inferno: tuttavia questo è presente solo nell’universo del desiderio. Fisicamente è immaginato come un granello di sabbia e quindi definito in ordine di grandezza come un luogo decisamente molto piccolo rispetto al paradiso, che spazialmente, oltre ad essere assai esteso, è collocato sopra al monte Meru. A seguito del decesso, l’individuo non è giudicato da una creatura infernale che vuole divorare la sua anima, come spesso accade nelle culture precedenti, ma segue un processo di coscienza universale, un flusso del destino.

Come si è già detto in precedenza, le credenze sul trapasso variano a seconda della scuola di pensiero a cui appartengono: una delle più importanti è quella della Scuola Tibetana Vajrayana che dà vita al Bardo Thodol, il “libro Tibetano dei morti”, assimilabile al libro egiziano dei morti perché a grandi linee ne assolve una funzione similare. Questo testo nasce dall’esigenza di compilare uno scritto articolato sui rituali da eseguire, in modo assolutamente accurato, per accompagnare il defunto durante lo stadio intermedio che va da subito dopo la morte, alla rinascita descrivendo le esperienze che l'anima cosciente si trova ad affrontare nell'intervallo di tempo che intercorre fra la morte e la rinascita. Il concetto di Bar-do è fondamentale per comprendere la funzione di questo libro. Bar-do significa precisamente “stato intermedio”. È proprio in questo stadio di passaggio che l’uomo, ormai non più nella sua condizione tangibile, incontra una serie di divinità positive e negative e si trova ad affrontare una condizione di profonda riflessione a seguito della quale sarà deciso il successivo stadio di evoluzione o involuzione del suo flusso di coscienza. Tale flusso è alla base del cambiamento, ed esso, nonostante tutto, non sarà mai la fine.
 
Miranda Nera


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