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Il Cimitero Comunale di Livorno

Il cimitero comunale "La Cigna" di Livorno prende il nome da un piccolo torrente che gli scorre a fianco, ma è popolarmente indicato come "I lupi", toponimo riferito al podere che l'amministrazione comunale livornese individuò, a seguito di una epidemia di febbre gialla che colpì la città nell'agosto del 1804, per erigere il nuovo cimitero pubblico che rispondesse alle progredite norme sanitarie.
Concepito come un moderno "cimitero a sterro", secondo quanto stabilito dalle disposizioni emanate nel 1783 dal granduca di Toscana Pietro Leopoldo, fu realizzato in prossimità di un'area che già dal III secolo era stata occupata da una necropoli, oggi denominata di "Santo Stefano ai Lupi". Nel corso del XIX secolo la zona ha restituito un importante nucleo di monete e di frammenti ceramici oggi conservati nelle raccolte civiche.
Realizzato su disegno dell'architetto livornese Riccardo Calocchieri, il "camposanto comune" della Cigna fu portato a termine dall'architetto Gaspero Pampaloni e dall'ingegnere Stefano Diletti e benedetto il 28 ottobre 1822. Ingrandito nel 1891 secondo il progetto dell'ingegnere comunale Angelo Unis, nel 1910 fu nuovamente ampliato ed ancora oggi si va espandendo ulteriormente.
L'ubicazione del cimitero livornese in un'area isolata e lontana dal centro abitato ha fino ad oggi permesso di realizzare successivi interventi di ingrandimento senza dover intervenire sulle strutture preesistenti. Attualmente il camposanto conserva l'originario ingresso con la chiesa di San Tobia, realizzato nei primi venti anni del secolo XIX, e la zona monumentale costituita dall'imponente colonnato dell'Unis che, dalla fine del XIX secolo, chiude la parte tergale del sepolcreto.
Oggi, nei suoi 110.000 mq di estensione, il cimitero della Cigna custodisce circa 190.000 salme e conserva numerosi monumenti funebri collocati lungo il viale principale e sotto il colonnato posteriore. Assieme ad esempi pregevoli dell'artigianato locale degli ultimi due secoli, fra le tombe ed i monumenti funebri del cimitero si conservano opere degli scultori Enrico Mirandoli, Lorenzo Gori, Giacomo Zilocchi, Ermenegildo Bois, Cesare Tarrini, Laerte e Valmore Gemignani ed Umberto Fioravanti.
Il viale monumentale che collega la chiesa di San Tobia al colonnato delimitante il confine estremo del cimitero raccoglie, assieme a numerose tombe di famiglia, i monumenti che la città di Livorno ha voluto dedicare ai concittadini morti per difendere la patria durante le guerre d'indipendenza. Qui si incontrano i monumenti agli eroi risorgimentali, ai caduti per la difesa di Livorno dall'occupazione austriaca del 10 e 11 maggio 1849 ed ai livornesi morti a Mentana.
Poiché nel cimitero comunale non esistono zone distinte per la sepoltura degli acattolici, percorrendo il viale centrale, a distanza di pochi metri gli uni dagli altri, sorgono il Cristo del monumento della famiglia Soriani, opera di Giacomo Zilocchi, il candelabro a sette fiamme che orna la tomba Baccetti ed i simboli massonici che compaiono sulle tombe di Andrea e Jacopo Sgarallino, ambedue realizzate da Lorenzo Gori, e su quella della famiglia Ardisson, eseguita nel 1922 dallo Zilocchi. Testimonianza diretta, che si ritrova in altri monumenti del cimitero, della diffusione che il pensiero massonico ebbe in città sin dal XVIII secolo.
Più avanti troviamo i sacrari che raccolgono le spoglie dei caduti della guerra 1915-1918, delle vittime civili e militari del secondo conflitto mondiale e dei militari italiani ed inglesi morti nell'incidente aereo della Meloria del 1971. Con l'appellativo di "Quadrato dei Francesi" è poi indicata l'area ove sono allineate le tombe dei militari d'oltralpe feriti durante la Grande Guerra, alcuni dei quali di origine musulmana, che morirono a Livorno, città di transito nel loro viaggio di rimpatrio. Le salme sono sepolte una accanto all'altra in tombe del tutto simili, differenziate solamente da una croce, per i cattolici, o da un orientaleggiante arco a ferro di cavallo, per i musulmani.
Il vasto porticato realizzato dall'ingegnere Unis, che si estende per un fronte di circa 650 metri, raccoglie, come in una galleria museale, in analogia ai contemporanei cimiteri monumentali italiani, pregevoli monumenti funebri opera di scultori locali e della vicina zona apuana. Sul colonnato si aprono le cappelle gentilizie che, al loro interno, presentano elementi architettonici differenziati secondo il gusto dei proprietari spaziando così dall'eclettismo a reminescenze medioevali.
Nella zona del secondo ampliamento si trovano il "Quadrato dei Valdesi" ed il "Quadrato dei Turchi", composto da tombe con iscrizioni in lingua italiana ed araba, che costituiscono ciò che resta del camposanto Valdese e del cimitero della nazione Ottomana, eretti a metà Ottocento nei pressi del cimitero comunale e quindi inglobati nello stesso. Fra le due aree sepolcrali si incontra un arco adorno di un ricco fregio, eretto nel 1893, che raccoglie i nomi di tutti i labronici che militarono nelle schiere di Garibaldi, alcuni dei quali sono sepolti nell'area prospiciente il monumento sotto semplici lastre di marmo ornate dal caratteristico berretto garibaldino.
L'area cimiteriale ospita inoltre il Tempio Cinerario eretto nel 1916 dalla Società di Cremazione che, costituitasi nel marzo 1882, già dal 1883 disponeva di una cappella nel porticato con il forno crematorio e di celle per conservare le ceneri dei propri associati.
Come voluto dalle amministrazioni civiche del XIX secolo, il cimitero della Cigna ha conservato inalterata nel tempo l'originaria connotazione di luogo di riposo per i defunti di diverse confessioni religiose, così come la città di Livorno, da sempre crocevia di etnie diverse, richiedeva e richiede tutt'oggi nello spirito del motto impresso nell'unghero d'oro coniato nel 1655 dal granduca di Toscana Ferdinando II de' Medici: "Diversis gentibus una".
 
Laura Dinelli

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