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La casina delle storie

La casa-museo che custodisce oggetti, storie e ricordi di chi non c’è più. Un progetto artistico che ha dato vita a spettacoli e a due libri.

La mancanza, il lutto, il distacco sono sentimenti che chiunque, a causa di traumi, situazioni spiacevoli o chiusure di relazioni sentimentali o amicali, si trova a dover affrontare a un certo punto della propria vita.

Ma la profondità e il persistere di queste sensazioni diventa ancora più forte quando a causarle è il distacco ultimo da qualcuno che amiamo: la morte. Una parola temuta, sussurrata e mai pronunciata, che spaventa. Un’eventualità che rifuggiamo e scaramanticamente cerchiamo di allontanare. C’è invece chi quella parola ha imparato ad accettarla e, attraverso un percorso personale e artistico, convive ogni giorno con quello che viene “dopo”.

Alessandra Cussini, artista e custode di oggetti, storie e ricordi di chi non c’è più, da 5 anni abita “La casina delle storie”, un luogo in cui passato e presente si abbracciano per dare vita al museo delle persone comuni e delle loro storie silenziose e profonde.

Come nasce il progetto di questa casa-museo dei ricordi?
Il progetto nasce il 22 aprile, giorno di nascita di mia madre, del 2018. Mia madre è la persona che ha in qualche modo attivato questo processo artistico di rielaborazione di un lutto personale. Non si tratta di un percorso terapeutico ma di una sorta di catarsi che ha prodotto un progetto di ricerca. Inizialmente infatti, era nato come un progetto “esterno” ai miei spazi. Stavo cercando un luogo dove costruire laboratori colorati per l’infanzia e ho trovato questa piccola dimora che si affacciava sul cimitero dove è sepolta mia madre. è così che è nata, in modo surreale, la prima piccola casa museo dei ricordi. Non è la struttura attuale, ma è stata la prima ad accogliere il progetto e l’archivio. Quella casetta conteneva oggetti e storie dell’appennino tosco-emiliano: si trovava tra Bologna e Modena, un luogo in cui si trovava l’ultima abitazione dove hanno abitato i miei genitori. Da lì la collezione si è spostata ogni volta che ho cambiato casa: prima tra Bologna e Prato, ora qui in Toscana. è un progetto itinerante che mi segue».
Come si è trasformato il progetto cambiando casa?
La seconda casa che lo ha ospitato era all’interno di un borgo remoto in cui vivevamo in sei ed è lì che gli oggetti hanno cominciato a “vivere” con me. Erano all’interno di una stanza buia e senza finestre, un tempo era la vecchia stalla. Chi mi veniva a trovare e andava a visitare la collezione si lamentava di questa cosa: “sembra un cimitero!”. Poi tre anni fa mi sono spostata in Toscana e con me la collezione, che ora ha 44 oggetti, ed ho deciso di modificarne l’esposizione: ora abita le mie stanze con me; gli oggetti entrano in ogni parte della casa, tranne la mia camera da letto.

La casa in cui vivo è fatta a ferro di cavallo e tutti gli oggetti che custodisco sono integrati all’interno dell’arredamento insieme alle mie cose. Se non si osserva bene, potrebbero non essere trovati. Il riconoscimento è aiutato da un cartellino bianco timbrato a mano con il numero dell’oggetto, da 001 a 044, e da lì si possono andare a ripescare le storie scritte negli archivi cartacei conservati vicino a una grande cassettiera nel disimpegno. è lì che si trovano gran parte degli oggetti che mi hanno consegnato. Inoltre, lì si trovano i fogli e le schede che contengono la storia di ogni oggetto, storie che ascolto e che riscrivo».
Come nascono queste storie e come arrivano a te gli oggetti della collezione?
La notizia dell’esistenza di questa casa-museo si diffonde attraverso il passaparola reale, come un sussurro all’orecchio, soprattutto all’inizio perché il progetto era in un luogo remoto, poco conosciuto ed erano le persone che vivevano vicino a me a venire a trovarmi e raccontarmi le loro storie.

I racconti che custodisco sono il frutto dell’incontro con queste persone: vengono a portarmi gli oggetti dei loro cari e mi narrano, con le loro parole, quello che poi io riscrivo con le mie. Per questo ci tengo a sottolineare che non si tratta di un percorso psicologico di guarigione, ma di un percorso artistico che chiamo “arte pubblica”. Negli ultimi due anni, dal progetto sono nati uno spettacolo e due libri: un po’ alla volta “La casina delle storie” sta uscendo allo scoperto. Le persone che ne vengono a conoscenza mi contattano telefonicamente o via mail e così comincia un piccolo dialogo in cui ci raccontiamo chi siamo. Mi spiegano perché hanno voglia o bisogno di venirmi a trovare, per tastare il terreno e capire chi sono. Poi, se decidono di fidarsi, devono intraprendere un viaggio per venire qua a portarmi il proprio oggetto e a volte i viaggi sono molto lunghi. Chi viene qua fa un grande atto di fiducia. La decisione avviene dopo una serie di processi emotivi: rendersi conto che nella propria esistenza c’è qualcosa di fermo che non è più necessario tenere in quello stato, ma va trasformato. Chi decide di donare un oggetto di un proprio caro sceglie di chiudere un percorso, è consapevole di avere un oggetto legato a una storia da raccontare e decide di fare un viaggio, in auto o in treno, con questo oggetto. Tutte queste scelte difficili avvengono sapendo che ad accoglierli c’è qualcuno che non conoscono, nelle cui mani metteranno qualcosa di molto importante. è un grande atto di presa in cura di sé».
Che tipo di oggetti sono presenti nella collezione? Ne hai uno a cui sei più legata?
L’archivio nasce da una piccolissima serie di oggetti di famiglia: alcuni su cui ho cominciato a fare un lavoro personale dopo la morte di mia madre e, parallelamente, la malattia di mio padre. Mi sono trovata a svuotare l’ultima casa dei miei genitori e mi sono domandata cosa trattenere e perché. Ho deciso di tenere pochissime cose e da questo primo piccolo archivio la voce si è sparsa e altre persone sono venute da me chiedendomi di custodire qualcosa delle loro famiglie. La sensazione è come se una freccia ti colpisse: ogni cosa tocca una parte di te. è l’impatto che si ha quando persone che non conosci vengono con i loro oggetti e ti raccontano le loro storie. Ma nello scritto tutto questo va pulito, in modo da non dover far sapere chi ha raccontato, chi ha scritto. Devono diventare storie universali.

Sono molto legata a un oggetto che parla di una storia molto forte, l’ultima arrivata in senso cronologico. è una storia che arriva dagli uliveti della Campania nell’entroterra salernitano. L’oggetto che mi hanno consegnato è una cassetta in legno di ulivo che apparteneva a un uomo che si è tolto la vita perché gli sono state usurpate le terre. All’interno della cassettina, c’è una lettera che racconta la storia. Sono stata toccata profondamente da questo racconto per il modo e la delicatezza delle parole.
Un altro oggetto molto bello è un barattolo di brillantina per capelli, da uomo, di molti anni fa, ora riempito di chiodi di un’officina e terra, entrambi luoghi legati a questo nonno a cui apparteneva il barattolo. è un oggetto che ha fatto la storia della famiglia perché è sempre stato tenuto in casa dalla nipote, ed ha ripreso vita quando il nonno è mancato. Alcuni oggetti vanno avvicinati con grande cautela perché sono legati a storie difficili, taglienti».
Cosa significa vivere con così tante storie e portare in qualche modo, il peso del ricordo?
Non faccio entrare gli oggetti nella mia camera, per non dormici vicino anche se all’inizio tenevo un piatto usato per un rituale di ultimo saluto a una donna sotto al letto. In ogni caso, non ho un attaccamento macabro né struggente a questi oggetti. Quello che sento è che non c’è il bello e il brutto nelle cose che accadono: ci sono momenti in cui tutto ci sembra più difficile e sorridiamo di meno. Stare vicino a delle cose che hanno voci a volte tristi, a volte meno, per me è allo stesso modo come stare vicino a una festa. La vita e la morte, l’esserci e il non esserci sono parte integrante di quello che viviamo. Anche i resti, le memorie, i segreti ne fanno parte. Come i cimiteri che sono all’interno delle città.
Io mi occupo dell’ascolto di chi vuole raccontare, ma non ho l’intento di guarire o accompagnare chi vive un lutto. Questo lo fanno gli specialisti. Io sono una custode e depositaria di storie che provengono da persone e oggetti tangibili. Ad alcuni sono affezionata, ci parlo. è come avere delle piccole voci nella mia casa».
Come si può visitare “La casina delle storie”?
Chi vuole visitarla può contattarmi tramite il sito (www.facebook.com/lacasinadellestorie) o via e-mail. Per lavoro sono spesso fuori, a raccontare il progetto con spettacoli e installazioni perciò meglio scrivere prima. A chi vuole venire a visitare la casa infatti dedico tempo in due modi: prima permetto alla persona che viene in visita di attraversare la mia casa in silenzio; poi mi prendo un momento per stare con il mio ospite per sapere chi è, per ascoltare altre storie e per chiedere perché è venuto e cosa lo ha toccato. Per concludere, a volte faccio delle giornate aperte dove chiunque può venire a visitare la casa; altre volte sono gli oggetti che escono per partecipare a festival, rassegne, installazioni».
 
Tanja Pinzauti

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