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UNA CANZONE PER CHI RESTA

Maxine Edgington, una malata di cancro in fase terminale, ha dedicato alla figlia di sedici anni una canzone che ha avuto prima grande successo alla radio britannica e poi è stata comprata da tante persone quando è uscita nei negozi di dischi. Il ricavato sarà ovviamente devoluto ad una associazione per la cura dei malati di cancro, ma non è questo che riteniamo interessante. Interessante è riflettere su quanto apprendiamo dai giornali (La Repubblica, 8 ottobre 2005).

Innanzitutto il titolo: "We laughed", "Ridevamo".

Si riferisce alle risate che Maxine si faceva con la figlia Jess e, come ha dichiarato l'Autrice della canzone, "…prende spunto da una foto di Jess e me che passiamo la vita ridendo e parla di come ridere ci protegga dal dolore di doverci separare".

Questa madre morente, quindi, parlava liberamente della propria morte con la figlia e ciò provocava loro un dolore da cui si difendevano ridendo e facendosi fotografare mentre ridevano. Vuol forse dire che cercavano di sdrammatizzare il dolore della separazione prendendo in giro la morte? O vuole forse dire che solo ridendo di tutto ciò di cui si può ridere è possibile sopportare la sofferenza del dover lasciare le persone care? I pochi indizi linguistici che abbiamo portano a pensare che sia più probabile la seconda ipotesi. Maxine dice, infatti, che la foto e la canzone che la rievoca ritraggono madre e figlia che "passano la vita a ridere" (non precisa di cosa ridevano e si può supporre che non fossero in grado di ridere della morte che tanto dolore provocava loro), costatando che ridere(in generale) protegge dal dolore della separazione.

Credo che sia psicologicamente fondato sostenere che ridere protegge dalla sofferenza, ma è altrettanto facile dire che la sofferenza fa passare la voglia di ridere. Possiamo supporre allora che Maxine sia una madre tanto in grado di "prendere a ridere" la propria vita anche nell'imminenza della morte da riuscire a far ridere la figlia adolescente proteggendola (e proteggendosi) dal dolore. O è Jess che è in grado di "prendere a ridere" la vita anche nell'imminenza della morte della madre? La prima ipotesi sembra più probabile. Dovremmo saperne di più. Comunque, siamo di fronte alla proposta di una "strategia del ridere" da opporre alla morte e alla separazione che ne deriva dal punto di vista affettivo.

Che possa trattarsi di una strategia della madre e non della figlia ce lo fa intuire un'altra dichiarazione di Maxine: "Ho capito che la morte non colpisce tanto me quanto le persone che mi sono intorno: i loro sentimenti, il loro bisogno di conforto e come affronteranno la situazione, il fatto di sapere che le amo e di non lasciare nulla di non detto, preparandole invece per quando non ci sarò più". Se così è, si tratta di un atteggiamento abbastanza raro nella fase terminale della vita durante la quale la maggior parte dei morenti sembrano impegnati più a difendersi dalla propria sofferenza o a cercare di prolungare la vita piuttosto che ad occuparsi dei sentimenti di chi sta loro accanto, del conforto di cui avranno bisogno, di come affronteranno la situazione, cioè di prepararli ad affrontare il lutto.

Certo in questo caso si tratta della madre di una figlia adolescente che potrebbe temere soprattutto per come lascerà la figlia morendo, e delle conseguenze che ciò potrà avere sulla sua vita di adolescente. Ma sono tanti i genitori che morendo si preoccupano di come lasciano i figli "piccoli"? Non sono molti di più i genitori che morendo soffrono proprio per dover rinunciare all'amore dei figli, tanto più quanto questi sono piccoli, cioè quanto più a lungo avrebbero potuto "goderseli"?

Scrivendo la canzone per la figlia Maxine cerca di lasciarle un messaggio che la "lasci" bene, sta pensando più alla figlia che a sé, che la tragedia maggiore non è di chi muore ma di chi resta, ed a questo che bisogna pensare nel morire. E allora cerca di lasciarle detto che le vuole bene, che ha pensato più a lei che a sé nel morire. C'è un unico problema: se analizziamo alcune delle parole della canzone potremo capire che morire più per gli altri che per sé può anche avere qualche conseguenza negativa per chi resta. Maxime canta così rivolgendosi alla figlia: "E come sai nessuno potrebbe amarti di più, qualunque cosa il futuro abbia in serbo per te, voglio che ti ricordi quanto abbiamo riso". Come fa Maxine a sapere che nessuno potrà amare Jess più di quanto l'ha amata lei? E, in ogni caso, non sarebbe meglio lasciarle detto "ti amo" senza specificare quanto e senza paragonare il proprio amore a quello di altri? Non è, sennò, che le sta dicendo che l'amore della mamma è insostituibile? E, in tal caso, non potrebbe proprio questo far pensare alla figlia che non potrà più vivere senza un tale insostituibile amore?

La stessa osservazione si può fare a proposito del riso: abbiamo riso tanto e se vuoi continuare fallo pure, ci è servito, ci ha protetto e potrebbe proteggerti ancora. Ma se la vita avesse in serbo per Jess qualcosa per affrontare la quale dovesse dimenticare quanto ha riso con la madre?

Si ha allora l'impressione che Maxine nel pensare, morendo, alla figlia e non a sé, nel cercare di lasciarla bene lasciandole detto qualcosa che la faccia stare bene, voglia assicurarsi la certezza che funzionerà, che l'eredità di affetti (l'amore) e di strategie del vivere (il ridere) della madre possa reggere a qualunque evento della vita della figlia (nessuno ti amerà più della mamma, ricordati sempre quanto ci si protegge ridendo).

Ora io credo che questo modo di Maxine di lasciare la figlia e di pensare a lei potrà funzionare solo se Jess sarà d'accordo con la madre nel pensare che la tragedia peggiore è sua, cioè di chi resta, e non della madre, cioè di chi muore.

Se invece pensasse a sua volta che la tragedia maggiore è quella della madre che non vedrà più la luce del sole, Jess considererebbe la canzone della mamma come un lascito significativo dell'amore della mamma per lei, ma avrebbe ancora da trovare un modo di vivere che le consentisse di continuare ad amare la mamma e a difenderla dalla morte. Un modo che si dovrebbe basare, più che sul farsi bastare l'amore della mamma che non c'è più e il ricordo di quanto aveva riso con lei, sul fare in modo che l'amore per la madre basti a tenerla in qualche modo in vita. E per far questo potrebbe aver bisogno dell'amore di altri che non entri in competizione con il compito e la responsabilità sua di vivere un po' anche per la madre, di "sopportarne" la perdita e di continuare a difenderla dalla morte "sostituendosi" per quanto possibile a lei nel vivere.

 
Francesco Campione


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