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LA BUONA MORTE

Oggi in Occidente giovani e vecchi dicono che preferirebbero morire "in modo istantaneo e indolore alla fine di una lunga vita spesa bene". È la "buona morte" della nostra epoca. Una volta non era così. Una volta, ad esempio, nel mondo cristiano la morte peggiore era la morte repentina e il motto più diffuso era "ricordati che devi morire": avvertimento per chi desiderava evitare una vita eterna dannata e favorire l'accesso ad una vita eterna beata.

Le concezioni della "buona morte" dipendono da come si risponde a due domande cruciali: "Perché si muore?" e "Cosa accade dopo la morte?". Nella nostra cultura attuale le risposte sono fornite prevalentemente dalla scienza che, in questo caso, si identifica con le conoscenze e con le teorie biologiche e che risponde pressappoco come segue.

• La morte è qualcosa di naturale che appare nel corso dell'evoluzione quando gli esseri viventi diventano così complessi che se si riproducessero ancora per scissione come gli esseri elementari (batteri, virus) l'evoluzione si bloccherebbe e le specie più evolute non sopravvivrebbero. Appare così la riproduzione sessuale che implica la specializzazione delle cellule riproduttive - i gameti, ovulo e spermatozoo, che trasmettono da una generazione all'altra il patrimonio genetico - e delle restanti cellule dell'organismo destinate a morire con l'individuo. L'individuo, quindi, naturalmente muore e l'unico modo che ha di sopravvivere è quello di farlo attraverso la specie, riproducendosi, cioè trasmettendo ai suoi discendenti il suo stesso patrimonio genetico.

• Dopo la morte la materia organica viene sottoposta ai processi di decomposizione che hanno la funzione di scindere le componenti elementari in modo che possano rientrare nel ciclo vitale (ciclo dell'azoto), cosa che rende possibile la continuazione della vita alimentando i processi vegetativi che portano alla fotosintesi clorofilliana, cioè alla produzione dell'ossigeno necessario perché l'atmosfera terrestre sia vivibile per gli esseri che respirano. In sostanza dopo la morte c'è una specie di riciclaggio naturale della materia organica, una trasformazione che "serve" alla continuazione della vita sulla terra.

In questa ottica (la morte è qualcosa di naturale e di utile alla specie e dopo la morte si realizza a questo scopo un riutilizzo della materia organica del cadavere), all'individuo non resta che cercare di vivere il meglio possibile e il più a lungo possibile, e quando dovrà morire cercare di morire nel più breve tempo possibile e con la migliore qualità di vita possibile. La buona morte tenderà ad essere un passaggio biologico il più possibile indolore e l'uomo dovrà seguire l'esortazione del filosofo Spinosa ("Il saggio non pensa alla morte, il saggio pensa alla vita").

Esistono però anche nell'Occidente alcune sottoculture, come quella latina o quella ebraica, secondo le quali la morte non è qualcosa di naturale ma di personale (poiché essa appare come una ingiustizia oppure come il risultato del peccato) e dopo la morte c'è un'altra vita, c'è il nulla o c'è un grosso punto interrogativo.

In questa ottica la morte è un male e la buona morte non esiste (se dopo c'è il nulla o se non si sa), oppure è buona perché in realtà non si muore ma si passa a "miglior vita".

Se accettiamo le risposte della biologia moderna cercheremo di vivere bene il più a lungo possibile e non avremo paura della morte ma temeremo la sofferenza ("Non ho paura di morire, ho paura di soffrire", dice la maggior parte delle persone oggi).

Se accettiamo le risposte delle filosofie o delle religioni personalistiche (secondo le quali ognuno vive per sé una volta sola, per sempre o chissà), saremo angosciati dall'idea della morte e difenderemo la vita a tutti costi (se pensiamo che dopo non ci sia nulla), vivremo in funzione del dopo (se pensiamo che dopo ci sia un'altra vita), cercheremo di dare un senso alla morte (se essa ci pone di fronte ad un ignoto che non è né un'altra vita né il nulla).

Ed è quest'ultima alternativa (il senso della morte è proprio l'interrogarci sul dopo perché non possiamo avere risposte certe) che ci apre un'altra possibilità: l'unico aldilà che non ha bisogno di dimostrazione sono gli altri che ci sopravvivono.

Possiamo ora rispondere al perché della morte dicendo che potrebbe essere qualcosa di naturale o qualcosa di determinato dal male, ma risponderemo alla domanda su cosa accade dopo dicendo che "restano gli altri". Finisce così che la nostra morte diventa la vita degli altri che restano. E allora la buona morte è la morte che lascia agli altri una buona vita.

Una prospettiva nuova e tutta da sviluppare anche se molti la praticano, ad esempio, quando nel vivere non pensano solo a sé, ma a come lasceranno il mondo a coloro che resteranno.

 
Francesco Campione

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