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un'arpa ci narra una triste Leggenda

L'arpa è senza dubbio uno degli strumenti più affascinanti e, in un certo senso, spettacolari - anche dal punto di vista visivo - che la tradizione musicale europea abbia prodotto. Da un secolo e mezzo circa ad oggi è un elemento importante della compagine della grande orchestra sinfonica e della sonorità che essa produce; un po' particolare, invece, la situazione dell'arpa in quanto strumento solista. Essa costituisce sotto questo aspetto un mondo un po' a parte: gli autori sono molto spesso essi stessi dei grandi solisti, e solo raramente hanno scritto per arpa i grandi compositori "tout court"; il repertorio non è particolarmente vasto.

All'ascoltatore che si rechi ad un recital arpistico capiterà quindi facilmente di imbattersi nel nome di una compositrice come Henriette Renié (1875-1956), poco nota fuori dell'ambiente arpistico del quale fu invece protagonista assoluta: grande solista, docente al Conservatorio di Parigi, autrice di un celebre Metodo e di molte composizioni per il suo strumento.

Della Renié è appunto uno dei brani in cui quell'ipotetico musicofilo facilmente anche si imbatterà, trattandosi di uno degli appuntamenti con cui è d'obbligo confrontarsi per ogni virtuoso d'arpa che si rispetti.

Si intitola Légende, e permette al (più spesso alla) solista di squadernare tutta la spettacolare e sorprendente varietà di suoni e di possibilità espressive dello strumento, che variamente si alternano negli abbondanti dieci minuti di durata del brano. Ma l'ascoltatore attento percepirà anche una tonalità espressiva misteriosa, spesso cupa, drammatica. Siamo in presenza in realtà di un fenomeno tipico della musica a cavallo fra Otto e Novecento: il rapporto istituito fra un brano strumentale ed un testo letterario cui esso fa riferimento. "D'après Les Elfes de Leconte de Lisle", dice in effetti il sottotitolo di Légende, e le edizioni a stampa del brano riportano infatti il testo di questa poesia di un autore che fu tra i più notevoli del secondo Ottocento francese. La lettura del testo (che dovrebbe essere sempre riportato, in casi del genere, sui programmi di sala e nei libretti dei CD!) chiarisce molte cose, e ben giustifica quell'impressione che il nostro ascoltatore può aver avuto.

Si tratta di una poesia che, secondo un gusto abbastanza tipico dell'epoca, riprende temi e ambientazioni (vagamente medievali) di tipo magico fiabesco, ma caratterizzandole preferibilmente con un sottofondo inquietante in cui trova luogo, venendo anzi in primo piano, il tema della morte. Il ritmo incalzante che lo strumento scandisce allude al galoppo di un cavaliere che attraversa la foresta in una notte di luna per raggiungere la sua amata e sposarla; un disegno musicale etereo e leggerissimo richiama lo sciame di elfi che circonda il cavaliere; la regina degli elfi, seducente, tenta di trattenerlo, e al suo rifiuto gli tocca il cuore col suo dito bianco. È il tocco della Morte, come la poesia svela poco dopo: al cavaliere, che ha ripreso il galoppo, compare la fanciulla amata, o meglio il suo fantasma, che gli dice "caro sposo, la tomba sarà in eterno il nostro letto nuziale; io sono morta!", e alla rivelazione cade anch'egli senza vita. Questa dunque è la storia a cui alludono gli acrobatici ed inquieti virtuosismi strumentali dell'arpa di Légende.
 
Franco Bergamasco

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