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A proposito di Tanexpo

Aprire o non aprire?

Cedendo alla tentazione di partecipare al dibattito su Tanexpo 2008, eccomi qua, senza neppure aver atteso di conoscere il preannunciato pensiero del Direttore sull'argomento.
Ho preferito farlo subito, illudendomi magari di potere, così, offrire ad altri lo spunto per intervenire, concedendo un tempo più abbondante per la riflessione su un tema che intendo ancora una volta riproporre e sostenere, quello di studiare nuovi modi di far partecipare e di coinvolgere il "grande pubblico". Spesso mi chiedo se siamo noi ad avere paura del "pubblico", o se sia il "pubblico" ad avere paura di noi.
Le prime fiere, fino a quella del '92, hanno in qualche modo contribuito a valorizzare il prodotto del nostro Paese, in Italia e all'estero. Ma dopo? Poco più di nulla! Giacché non si è usciti dalla solita costosa "kermesse", conveniente soprattutto a chi la organizza e la gestisce, escludendo la componente più importante, come accade invece in tanti altri settori. La solita bella roba esposta, marcando sempre di più il "distacco abissale dalla realtà, perché la situazione fuori dalla fiera è molto ma molto diversa".
Se nelle passate fiere avevamo già un distacco abissale fra il prodotto esposto e quello che poi sarebbe stato venduto, cosa ci potremo attendere in futuro se non cambierà nulla? Si continuerà, come argutamente scrisse un operatore di Greve in Chianti, sulla strada "dell'autocompiacimento"? Non è forse giunto il momento di tentare una svolta, anche se non facile? E magari rischiando inizialmente l'insuccesso? Non sarà semplice perché occorreranno estro e determinazione e, se necessario, occorrerà anche sapere rinunciare in parte ai facili introiti della kermesse. Oppure vogliamo definitivamente rassegnarci e arrenderci, ammettendo sconsolatamente di essere noi ad avere paura del "pubblico"?In una recente occasione, quando si dovette decidere se partecipare o meno, in veste di produttore di articoli funerari, ad una fiera ove c'era tutto quanto serve ad arredare la casa, non mancò la paura iniziale di affrontare il "pubblico" con un prodotto tabù. Vinta questa, decidemmo di essere presenti e l'accoglienza da parte del "pubblico" fu sorprendente per interesse e per compostezza. Perché non riprovarci? O siamo indiscutibilmente noi ad avere paura e conseguentemente a sottovalutare il "pubblico"?
Come più volte è accaduto, non mi si venga ancora a dire che è il "pubblico" a chiedere all'impresario prodotti sempre meno costosi e quindi più scadenti: fino a quando non ci saremo sbarazzati delle paure che ci siamo cucite addosso, vivremo una sorta di sudditanza nei confronti di chi, pensandola diversamente, trae conclusioni per sé convenienti.
Sarebbe ingenuo e puerile se i costruttori, esponendo in fiera, continuassero ad illudersi che così facendo potranno vendere di più, senza fare i conti con il numero chiuso dei decessi. Continueremmo ad essere la principale causa dei nostri mali e non sarebbero certamente gli altri a piangere per noi. Mettere il "pubblico" in grado di saper scegliere non andrebbe a discapito di alcuno: i produttori sarebbero stimolati a produrre bene; gli impresari ad acquistare e a vendere meglio; il "pubblico" stesso a scegliere prodotti più validi spendendo cifre identiche o appena superiori.
Non ho la pretesa di ritenere che questa sia una proposta giusta, o la sola proposta giusta. Potrebbero sicuramente esserci altre idee valide. L'importante è esporle e discuterle, ma finché non ci saremo liberati dalle sudditanze che ci inducono a partecipare alle fiere, pur non amandole, solo perché sono presenti i nostri diretti concorrenti, saremo in balia di coloro ai quali i nostri problemi possono non interessare granché.
 
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