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ANDARE OLTRE

C'è bisogno oggi di "andare oltre" nel villaggio globale, dove il 'look' regna sovrano, dove è assolutamente necessario essere 'trendy', in cui l'astro nascente del Nuovo Sapere è la scienza della comunicazione (ma che cosa sia importante comunicare, se lo chiedono in pochi) ed anche in ambiti in cui le idee una volta erano fondamentali, come nella politica, il culto dell'immagine ha preso il sopravvento.

E' il trionfo della chirurgia estetica, degli stilisti che sono i nuovi guru di una ideologia ormai inesistente, della affabulazione televisiva che consente a chi ha un aspetto più o meno gradevole (non importa se naturale o rifatto) ma rispondente a criteri estetici alla moda, di improvvisarsi opinionista, scrittore, intellettuale; e se la persona in questione è assai carente in fatto di studi e di letture, tanto peggio!

Il paradosso di questo imperativo categorico della bellezza è che nasconde (ma forse non poi tanto) il brutto, il vuoto, la noia, generati dalla mancanza di senso, di cultura, di valori autentici. Basti pensare al linguaggio sciatto, banale, volgare, infarcito di americanismi e di luoghi comuni che i mass media, e non solo essi, ci propinano in continuazione. Se il linguaggio è lo "svelamento dell'essere", come diceva un grande filosofo, Martin Hiedegger, è un ben povero essere quello che lo ha ridotto a chiacchiera inconsistente.

Anche le cose più serie, come la sofferenza, la malattia, la violenza, diventano spettacolo da consumare e frettolosamente rimuovere, perché tutti abbiamo 'tanto da fare' ed in questo fare forsennato dimentichiamo il nostro essere. Ed eccoci così patetiche marionette di un miserabile teatrino, aggrappati a computer e telefonini, succubi di internet, ma incapaci di stabilire rapporti autentici con le persone a noi vicine; impegnatissimi a lavorare, spendere, accrescere il nostro capitale, a divertirci, a viaggiare nei luoghi alla moda, ad abbronzarci, ad 'essere firmati', senza accorgerci di aver firmato sulla nostra imbecillità, su una esistenza banale, su una vita vuota e alienata perché non risponde a una domanda di senso che è alla base del nostro essere nel mondo. Ed ecco allora l'ultimo grande esorcismo sull'evento più certo della nostra vita e cioè la nostra morte. Guai a pensarci, guai a parlarne! C'è di che farsi venire la depressione. Meglio evitare, rimuovere, fuggire da questa inevitabile realtà. Eppure ancora Heidegger diceva che esistenza autentica significa "vivere per la morte". Dal senso che diamo alla morte, infatti, dipende il senso che diamo alla vita. Ma è vero anche l'inverso, non essendo possibile separare i due poli del nostro essere nel mondo.

E' chiaro che, dando la dovuta attenzione a questo che è 'il problema dei problemi', la nostra ottica si capovolge radicalmente e con essa viene spazzato via quel castello di carte che ti porta a vivere alla superficie, alienato da te stesso e dagli altri. Non elimini l'incertezza, l'angoscia, né la fatica dell'esistenza.

Non ci sono risposte prefabbricate alle domande dell'uomo, ma ciascuno deve cercarle con un impegno assolutamente personale e non accontentandosi del 'si dice, si pensa', utilizzando le proprie risorse e accettando il peso delle responsabilità.

E' una strada in salita che non finisce mai, ma è anche l'unica da percorrere se si vuole andare oltre la superficie, la vacuità, il non senso.

Viene in mente una bellissima frase delle Scritture: "Abbandonate la stoltezza e vivrete, andate diritti per la via dell'intelligenza" (Proverbi).

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