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La vita di Bob Marley

L'amore ci salverà

"La mia musica vivrà in eterno".

"Io non ho pregiudizi contro me stesso. Mio padre era bianco e mia madre era nera. Mi chiamano mezza-casta o qualcosa del genere. Ma io non parteggio per nessuno, né per l'uomo bianco né per l'uomo nero. Io sto dalla parte di Dio, colui che mi ha creato e che ha fatto in modo che io venissi generato sia dal nero che dal bianco".

Bob Marley

La storia racconta come, in pochi anni, Robert Nesta Marley sia passato dalle baraccopoli della Giamaica ai più grandi palcoscenici del pop mondiale. Un solo viatico: la musica reggae. Canzoni come “Get up stand up” o “No woman no cry” lo hanno consegnato ai posteri per l’eternità.
L’aspetto politico della sua vita è stato, se possibile, molto più importante di quello artistico. Non tutti amavano quello che faceva. Nel 1976 Bob era scampato alla morte: poco dopo le nove di sera, una raffica di piombo proveniente dal giardino invase la cucina della casa del cantante. L’attentato, avvenuto prima di un concerto a sostegno del leader socialista Michael Manley, rivelava l’altra faccia della Giamaica, quella violenta delle bidonville di Trench Town in cui i rude boys, ovvero i giovani duri armati di occhiali scuri e pistola, terrorizzavano le strade del ghetto. Il cantante rimase miracolosamente illeso mentre la moglie e il manager furono gravemente feriti. Dopo quell’attentato Marley divenne agli occhi della gente un leader politico, spirituale e religioso.
Trasferitosi in Inghilterra, la sua carriera come cantante spiccò il volo. “Exodus” rimase nelle classifiche inglesi per 56 settimane consecutive. I singoli estratti dall’album come “Jammin” e “One Love” consacrarono Marley come il re indiscusso della musica Reggae. La sua attività politica viaggiava di pari passo con quella artistica e nel 1978 gli fu conferita, a nome di 500 milioni di africani, la medaglia di pace dalle Nazioni Unite; nello stesso anno riuscì a riunire, durante un suo concerto, tutte le diverse fazioni che si combattevano nei sobborghi di Kingston. Ottenne la gratificazione maggiore nel 1980 quando venne invitato a partecipare alla celebrazione dell’indipendenza dello Zimbabwe.
Facendo un rapido passo indietro è possibile scoprire che, oltre ad essere un musicista, amava profondamente il gioco del calcio, uno sport da lui praticato con passione. Un giorno, durante una partita con i suoi amici, il dolore persistente ad un piede gli fece interrompere la partita. In seguito ad una visita medica gli venne diagnosticato un melanoma al dito del piede. I medici cercarono di convincerlo all’immediata asportazione del tumore. Nonostante le pressioni, Bob rifiutò. La sua religione - il rastafaranesimo - prevede che il corpo umano debba rimanere integro fino alla morte. Il cantante, dopo aver concluso una trionfale tournée estiva in Europa (il 27 giugno 1980 suonò allo Stadio Meazza di Milano di fronte a 100.000 spettatori e il giorno seguente in un altrettanto gremito stadio Comunale di Torino), tornò negli Stati Uniti. I due concerti tenuti al Madison Square Garden di New York lo consacrarono come star di prima grandezza. Marley, al massimo del successo, nei giorni a seguire ebbe un collasso facendo jogging al Central Park. La diagnosi rivelò una terribile verità: l’artista aveva un cancro al cervello.
Il 23 settembre 1980 Bob tenne il suo ultimo concerto allo Stanley Theater a Pittsburgh. La casa discografica, spinta dall’enorme successo ottenuto con il nuovo disco “Uprising”, cercò in tutti i modi di ritardare la sospensione della tournèe. Furono giorni convulsi: mentre la moglie Rita cercava di far sospendere il tour, la situazione precipitò e le date vennero immediatamente cancellate. Si cercò di mantenere il riserbo assoluto sulla questione. “Uprising”, nel frattempo, aveva scalato le classifiche di vendita di tutto il mondo: metteva maggiormente a fuoco il talento del cantante che, rispetto ai lavori precedenti, incontrò i favori di un pubblico eterogeneo.
La serie di esami a cui era stato nuovamente sottoposto non aveva dato scampo all’artista: i medici gli diedero dieci settimane di vita. Il cancro si era diffuso al fegato, ai polmoni ed al cervello. La situazione disperata non impedì a Marley di reagire. Assieme ad Aston Barrett, bassista e leader degli Wailers, terminò alcune vecchie registrazioni. Cercò di concentrarsi sulla musica e in totale riservatezza decise di incontrare il dottor Joseph Issels, ex sperimentatore medico delle SS durante la seconda guerra mondiale, che accettava solo casi definiti incurabili dalla medicina ufficiale. L’idea di Issels si basava sul fatto che attraverso la cura del metabolismo fosse possibile riportare ai valori normali un corpo sano. Nonostante il 20% dei suoi pazienti abbiano conquistato la guarigione, per Marley non fu così. Issels riuscì comunque a farlo vivere sei mesi in più di quanto avessero diagnosticato gli altri medici.
Bob Marley è morto l’11 maggio del 1981. Aveva 36 anni. Il funerale, tenutosi il 21 maggio, ha visto la partecipazione commossa di centinaia di migliaia di persone. Il corpo è stato portato a Nine Mile, il luogo di nascita, e riposa all’interno di un mausoleo divenuto nel corso del tempo un vero e proprio luogo di pellegrinaggio per la gente di tutto il mondo.
 
Marco Pipitone


NON TUTTI SANNO CHE:
 
• Rita Anderson, la vedova di Marley, ha scritto nel 2005 una biografia nella quale critica duramente il marito. Secondo Rita, la star reggae ha avuto molte amanti e da queste numerosi figli.
• Bob Marley ha avuto tredici figli, tre con sua moglie Rita, due adottati da relazioni di Rita, e gli altri otto da storie con più donne dalle quali si è poi separato.
• Si dice che Bob Marley abbia imparato a suonare la chitarra seduto su una pietra, grazie all’illuminazione di “Jah”. Tale pietra è tuttora meta di pellegrinaggio.
• In Giamaica lo spaccio e il consumo di droga sono illegali, ad eccezione che davanti alla tomba di Bob Marley in quanto ritenuti atti di stima e di rispetto per il cantautore.

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