- n. 7 - Novembre/Dicembre 2018
- Cultura
L'aldilà secondo il Corano
Il giardino dell'Eden, l'albero della vita eterna e il ponte verso l'inferno.
Una leggenda molto antica racconta che nel meraviglioso giardino dell'aldilà, che i Musulmani chiamano
Jannah, c'è un albero gigantesco. È così grande e possiede talmente tanti rami che se un veloce cavaliere decidesse di attraversare la sua ombra, impiegherebbe più di cento anni. Dalle sue radici nascono fiumi di acqua limpida e fresca e le sue foglie di smeraldo accolgono frutti simili a gioielli. Quest'albero si chiama
Tuba e rappresenta la vita eterna.
Il paradiso
La
Jannah è il paradiso per i musulmani; questo termine deriva da
Gan 'Eden che non è altro che l'espressione ebraica che indica il giardino dell'Eden e quindi il paradiso. Tale concetto è mutuato dall'influenza ebraica, cristiana e persiana. La visione del paradiso è molto ricca sebbene non abbia una chiara collocazione: talvolta è rappresentato come un eden terrestre, in altre occasioni come un luogo onirico e celeste. La Jannah è la massima aspirazione per ogni musulmano dopo il fine vita ed è da questa idea che hanno preso forma i magnifici giardini che incontriamo nelle antiche e ricche dimore arabe, che trovano una delle massime espressioni nella splendida Alhalambra di Granada, in Spagna, dove piante lussureggianti e fiori di ogni foggia e colore crescono e sbocciano contornati da specchi d’acqua, vasche e fontane che rendono il sito veramente paradisiaco.
L'inferno
L'inferno è spaventoso e nel Corano ci sono circa 500 versi che lo descrivono. Vi si accede da sette porte, una per ogni tipo di peccato. Sono gigantesche, sorvegliate da due angeli: una volta chiuse non possono più essere riaperte e quando vi si entra non si può più tornare indietro.L'inferno viene anche identificato come un lago di fuoco e sopra di esso vi è un ponte sottile come un capello e tagliente come una lama su cui le anime dovranno correre: alcune si salveranno, altre cadranno nel fuoco eterno ed altre ancora saranno tagliate in mille pezzi.
Anche la sua collocazione fisica, analogamente a quella del paradiso, è incerta: alcuni pensano che si trovi sotto terra, altri lo collocano esattamente al centro della terra ed altri ancora invece credono che si trovi sotto sette mari. Secondo la tradizione non si estende su un unico livello, ma su più piani, ognuno studiato in base alla pena che deve essere inflitta al defunto. Nei livelli più bassi vengono inflitte le punizioni più atroci e la temperatura è più alta. Più si scende e più le fiamme sono dense ed incessanti. Le anime dell'inferno non saranno annientate, ma dovranno subire terribili pene fino al giorno del giudizio.
Il giorno del giudizio
Il Corano, testo sacro di immenso valore, viene scritto dopo la rivelazione di Dio a Maometto. In esso troviamo molti versetti dedicati all'aldilà che ci danno una visione articolata di questi luoghi e che indicano quale sia il comportamento da seguire in vita, per potervi accedere o per poterli evitare.
I Musulmani proprio come gli Ebrei ed i Cristiani sono certi della resurrezione dopo la morte e del giudizio delle anime nel “giorno dell'uscita dalle tombe”, quanto i morti si risveglieranno davanti all'onnipotenza di Dio e ogni anima sarà giudicata da Allah. Quello del giudizio dell'anima del defunto è un argomento di grande rilevanza;
il Corano prevede due modalità: da un lato c'è la
pesatura dell'anima, con un retaggio sicuramente derivante dalla cultura egiziana, dall'altro c'è un
vero e proprio interrogatorio da parte degli angeli
Munkar e
Nakīr.
Con la pesatura dell'anima vengono considerate tutte le azioni che l'uomo ha compiuto nella sua vita, sia in bene che in male. Le anime peccatrici saranno ovviamente perseguite fino alla fine del tempo ma non annientate definitivamente come nell'idea degli Egizi. Gli angeli
Munkar e
Nakīr invece hanno il compito di tormentare le anime fino al giorno del giudizio qualora le azioni in vita non fossero state in linea con i princìpi religiosi. Di norma il destino di ogni defunto dipende dalla devozione che possiede e dalla sua appartenenza alla comunità. L’idea inerente il fine vita è sicuramente molto connessa con quella ebraica e cristiana in cui c'è un forte accento sulla ripartizione dei luoghi dell'aldilà, ovvero il paradiso e l'inferno.
La ritualità funebre
La ritualità funebre per gli appartenenti alla religione musulmana consiste nella
preparazione della salma prima dell'inumazione e nel rito di commiato in moschea. Subito dopo la morte,
il corpo viene trattato in modo estremamente preciso secondo passaggi ben definiti. Di norma
viene lavato e purificato, rivolto con la testa verso la Mecca e quindi viene coperto. Il corpo è sacro e durante il lavaggio bisogna fare molta attenzione a non contaminarlo come ad esempio toccandolo a mani nude.
Il rito è semplice e breve e la cerimonia ha una durata che differisce da ogni tipo di rito ordinario. La sepoltura in terra è la soluzione più diffusa e
la cremazione è proibita poiché violerebbe il principio per cui l'anima debba ricongiungersi successivamente al corpo.
La religione non impone una veglia
post mortem, a tal proposito è auspicabile che la sepoltura avvenga il più presto possibile subito dopo il decesso.
Nel momento in cui il corpo viene adagiato nella fossa, si recita la professione di fede.
Il settimo e il quarantesimo giorno dopo il decesso, viene allestito un banchetto funebre, in cui la comunità si stringe attorno ai dolenti per accompagnarli nel loro momento di dolore.
Come abbiamo visto in questo e nei precedenti articoli, sono molte le contaminazioni e i punti comuni tra le tre grandi religioni monoteistiche - ebraica, cristiana e musulmana - sia dal punto di vista escatologico che da quello della ritualità. Tutte e tre attingono infatti dal patrimonio culturale dei grandi popoli antichi (a cominciare dagli Egizi e dagli Assiri, per finire con i Greci e i Romani) che per primi hanno gettato le basi della moderna civiltà.
Miranda Nera