Rotastyle

La Tanatoestetica

Ti accompagno... se vuoi!

Nel mese di ottobre del 2011 Federica Giorgini ha frequentato, presso Terracielo Funeral Home, il Corso di Formazione Specialistica sulla Tanatoestetica. Le nozioni acquisite dalla docente Karine Pesquera, una particolare sensibilità, una naturale propensione a voler essere di aiuto agli altri e un profondo rispetto per il defunto e per coloro che soffrono la perdita di una persona cara hanno spinto Federica a mettersi in gioco: si è così resa disponibile per alcune famiglie che, in occasione della scomparsa di un proprio congiunto, hanno esplicitamente richiesto, tramite la Scuola Superiore di Formazione per la Funeraria o l’agenzia funebre incaricata di svolgere il funerale, un trattamento sanitario ed estetico di particolare riguardo per la salma. Qui di seguito alcune considerazioni di Federica che intendiamo condividere con voi e sulle quali vi invitiamo a riflettere per poter comprendere, forse, il profondo significato di una specializzazione che, con nuove prospettive, aiuta anche a migliorare e a rendere più efficaci le relazioni di aiuto. C.P.
Non so se sia conveniente cercare di dare sempre una spiegazione a ciò che ci accade, anche se viene naturale farlo nella più o meno inconscia speranza di giustificare in qualche modo la nostra presenza su questa terra. Una presenza che ci pare inutile e priva di significato quando perdiamo qualcuno a noi caro, in particolare genitori o figli. Ma se è naturale e giusto che i primi non sopravvivano ai secondi, troppo grande sarebbe lo strazio, altrettanto naturale e sottovalutato è lo smarrimento di un figlio che perde un genitore. Inopportune credo siano frasi tipo “la sua vita l’ha fatta...” o “si vede che era arrivato il suo momento…”. L’intento è certamente consolatorio, ma che ne sapete se è stata una bella vita? Solo i figli lo sanno e, forse, se ne stanno rendendo conto in quel momento. Non giudicate il loro modo di reagire, non dite loro che si devono tirare su di morale: non ne possono essere capaci, vorrebbero non aver perso un genitore. Anche se anziano. Anche se malato. Nulla può addolcire il dolore della perdita, di uno strappo con le proprie radici che spesso neppure loro, per quanto figli, sapevano essere così solide. E agli amati figli, a cui è concesso e fatto obbligo di restare, tutti i genitori, per aiutarli a trovare la forza di andare avanti, vorrebbero dire, se potessero, che hanno fatto il possibile per crescerli e per voler loro bene, ma che in fondo hanno sempre saputo che essi non erano tanto i loro figli, quanto “i figli e le figlie della sete che la vita ha di sé stessa”.
Questo ho vissuto e visto vivere, condividendolo in maniera insolita nelle vesti di tanatoesteta. Al di là delle conoscenze personali, letterarie e scientifiche sulla morte, della partecipazione a un corso di tanatoestetica, di un aggiornamento costante e su più livelli su tutto ciò che riguarda il lutto, di tre giorni di assorbimento totale in Tanexpo e in Tanexplora, il tutto impastato da una antica e forte passione, non credo di potermi ancora presentare come professionista. Così mi sono stupita non poco quando qualcuno ha pensato a me per svolgere questo delicato compito, ma la titubanza iniziale è stata immediatamente spazzata via da un profondo orgoglio. Non ero protetta dall’esperienza, né dalla capacità di mantenere un certo distacco dalla situazione, il che, si può dire, non è professionale. E allora? Non importa! La fiducia riposta nella mia mia persona era un regalo che andava accettato e ripagato. Evidentemente qualcuno pensava che ci fosse bisogno di me: quel poco che potevo e che sapevo era comunque prezioso in quel momento e ciò che mi difettava in competenza sarebbe stato compensato da attenzione, da cura, da empatia. Mi sento di consigliare a chi vuole avvicinarsi a questa professione di garantire sempre un identico e sincero trasporto; non fareste la fortuna di nessuno, neppure la vostra, se così non fosse, e non meritereste né stima professionale, né tantomeno considerazione umana. Avrei dovuto prendere accordi con la segretaria del figlio della signora scomparsa, ma prima che potessi chiamarla mi ha telefonato lui. Agli impresari funebri che sanno trovare le parole giuste per affrontare lo smarrimento e per accogliere le richieste di chi ha perso un proprio caro va la mia più sincera ammirazione. Alle persone che ad essi si rivolgono va il mio caldo abbraccio di sostegno come ho tentato di fare con lui, cercando di non farmi turbare dalla difficoltà di comunicare qualcosa di positivo a una persona che si trova ad affrontare un improvviso, enorme vuoto affettivo. Io sono lì, vi guardo e vi capisco. Ce la farete. Io vi aiuterò. Voi e il vostro caro siete in buone, pietose e amorevoli mani, ve lo posso garantire. Eppure quando ho ricevuto la telefonata, è stato lui a incoraggiare me che, nonostante i buoni propositi, me la stavo un po’ “facendo sotto”; con la sua intima e dolorosa compostezza, con la richiesta di assistere al mio operato (ragion per cui ho ritenuto fosse per me un grande onore essere la persona a lui mandata per aiutarlo), con i suoi “grazie” che corrispondevano a un affidarsi. Comprenderete la mia gioia. Vedere un figlio che desidera essere accanto alla propria madre in un momento di cui tutti noi siamo all’oscuro è ammirare il coraggio di chi, per amore, va oltre lo sconcerto della morte. E penso che, per un genitore, essere curato fino all’ultimo dalle mani di un figlio e da quelle di persone amorevoli sia rassicurante e possa strappargli un tenero e commosso sorriso. Da vivo e da morto.
Sentivo una grande responsabilità: desideravo, per lui, la possibilità di staccarsi in modo tutto suo dalla madre e, per lei, che fosse più bella e curata possibile, come vorremmo essere tutti noi se non potessimo provvedere personalmente e ci dovessimo presentare a un bel po’ di gente che ci osserva dall’alto. Pur sapendo della mia scarsa esperienza, e anzi preferendola, a fronte di un entusiasmo che credo abbia colto nel mio sguardo, si è fidato e affidato a me: e insieme ci siamo presi cura di sua madre.
“Dare ad un corpo divenuto freddo una bellezza che durerà per sempre, con calma, con precisione, ma soprattutto con tanta amorevolezza, pur nella tristezza di un ultimo addio immerso in un silenzio pregno di pace, mi appare meraviglioso”. In un posto che noi non conosciamo e che incute timore, dove lavorano persone che rispondono alla qualifica (temo sottovalutata) di tecnici necrofori, che accolgono ogni giorno i nostri cari defunti, che stanno con loro e che li preparano al posto nostro mentre noi, bruscamente staccati da essi, li piangiamo in una casa o in una chiesa; nelle asettiche sale di una camera mortuaria, permeate di freddo, di silenzio e di vite sospese, oltre a un delicato, emozionante, amorevole e rispettoso intervento di tanatoestetica, ha avuto luogo il più dolce dei commiati fra un figlio e la propria madre. Un ultimo, segreto, rituale e complice saluto, un addio che ha dato gentilezza al dolore, dove ogni gesto ha contribuito a restituire pienezza, consapevolezza e dignità a un rapporto interrotto, a un amore che si stava allontanando, a un corpo privo di vita animata. Ma non per questo ora meno amato, anzi... Nel lento addio è nata la certezza di una continuità che non si spezza. Io, come tanatoesteta e come Federica, ho avuto il privilegio di essere colei che li ha aiutati e che li ha accompagnati.
Sono tornata la mattina del giorno del funerale, ho presenziato al commiato di amici e parenti, ho avuto un contatto con gli operatori delle onoranze funebri, ho abbracciato una donna che mi ha confidato una recente, dolorosissima perdita, ho osservato quanto più potevo attorno a me e, mentre mi trovavo lì, non desideravo essere in nessun altro posto: per dare una stretta al braccio del figlio, per offrire il mio parere sui bigliettini ricordo o per commentare un errore di stampa presto corretto (e ci è scappata anche una garbata e liberatoria risata), per vegliare sulla defunta, per gioire con lei nel sentir dire che era bella, come ella stessa avrebbe voluto essere, senza i segni della morte sul viso, per sistemarle qualcosa ogni tanto, per starle vicino a garanzia del fatto che, sì, ero proprio io quella che due giorni prima si era ritrovata attorno per tutto il pomeriggio. Per non dimenticare il sorriso del figlio davanti alla giacca scura della madre macchiata di gocce: “Sono lacrime...”. Si, sono lacrime, le lacrime di chi resta, mentre lei ora va e noi dobbiamo lasciarla andare... Le rose tra le sue mani, l’incenso, le essenze profumate, la foto posizionata in modo che lei potesse vederla, le altre immagini, il braccialettino, i ricordi... E l’ultimo sguardo tra il Figlio e la Madre, il figlio che non si vuole staccare: “Lo so, lo so, no, aspettate, ancora un momento, ancora un bacio, una carezza, uno sguardo... ecco... ecco... Ciao, mamma. Fai un sereno viaggio! Un giorno ci ritroveremo!”.
 
Federica Giorgini


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